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Venerdì 24 all'hotel Plaza di Perugia si parlerà di scuola. Rifondazione comunista per le 17 ha organizzato un'assemblea pubblica alla quale sono invitati docenti, studenti, genitori, operatori scolastici e culturali, esponenti di sindacati e organizzazioni che ruotano attorno al mondo dell’istruzione e, naturalmente, i cittadini, i primi ad essere colpiti dal decreto Gelmini. Un incontro propedeutico allo sciopero nazionale del comparto e al corteo che si terrà a Roma il 30 ottobre. Ma quali sono i motivi, punto per punto, che stanno scatenando la protesta in tutta Italia contro le ipotesi di riforma avanzate dal ministro? Una protesta così diffusa che a qualche commentatore ha fatto parlare di un ritorno della Pantera? Cerchiamo di analizzare i principali. Il maestro unico innanzitutto. L'articolo 4 del decreto dice che “le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali”. In altre parole, si torna al maestro unico e si riduce di tre ore l’attività didattica rispetto alle attuali 27 ore settimanali. Il ritorno al maestro unico per i sindacati non ha motivazioni pedagogiche alla base. E' solo questione di fare cassa. Anche perché, come sottolineano molti studi, l'assetto attuale ha portato la scuola elementare italiana a funzionare su livelli ottimi. Perché quindi andare a toccare qualcosa che funziona? Il famigerato dimensionamento. Inserito in modo un po' truffaldino nel decreto legge sulla sanità, in sostanza dice questo alle regioni: se entro il 30 novembre non avrete messo mano ai piani di dimensionamento delle scuole, verrà nominato un commissario ad acta che provvederà allo scopo. Secondo i calcoli effettuati dai tecnici del ministero, una consistente fetta delle 10.766 istituzioni scolastiche articolate in quasi 42mila plessi scolastici va tagliata. A preoccupare poi particolarmente le regioni è il rischio che circa 4200 plessi con meno di 50 alunni vengano spazzati via dalla cartina scolastica del paese. Le amministrazioni regionali, di centrodestra come di centrosinistra, sono già da qualche giorno sugli scudi al grido di “non ci faremo commissariare”. Una questione che non è apparsa alla ribalta mediatica parlando di scuola è quella riguardante il contratto dei professori. Essendo scaduto da dieci mesi, e vista la situazione economica, non è proprio una quisquilia da sottovalutare. Capitolo tagli al personale, professori e personale Ata, ovvero bidelli e amministrativi. Centomila insegnanti in meno, tra docenti di ruolo e supplenti, entro il 2011. E riduzione del 17 per cento del personale tecnico e ausiliario. Questi i risparmi contabilizzati nella manovra economica triennale: 4,6 miliardi di euro per i prossimi tre anni (circa 450 milioni nel 2009, 1,6 miliardi nel 2010 e 2,5 miliardi nel 2011) che salgono a 8 se si mettono nel conto anche i 3,1 miliardi previsti nel 2012. “Una cura da cavallo” come ebbe modo di sottolineare lo stesso ministro Gelmini in una intervista. Una precisazione molto importante va fatta però in questo capitolo. Da molti studi la scuola italiana è accusata di avere un organico sovradimensionato. Il problema però, è che il confronto andrebbe fatto tra dati omogenei. Il nostro ordinamento scolastico vede al suo interno moltissimi insegnanti di sostegno a ragazzi handicappati, insegnanti che il nostro ordinamento mette a pieno titolo all'interno del corpo docente. In altre realtà invece, europee ma non solo, sono alle dipendenze dell'Istruzione, oppure della Sanità. La scuola italiana inoltre ha al suo interno 25mila insegnanti di religione, un numero elevatissimo se rapportato a quello degli altri paesi, e che va inserito nel quadro degli accordi fra Stato e Chiesa stabiliti nel Concordato. Ecco perché dunque se scorporiamo questi due dati dal totale, la realtà italiana non si discosterà molto da quella degli altri paesi. L'università grida alla privatizzazione. Il decreto legge, secondo studenti e sindacati, metterà le università in mano ai privati. Vediamo perché. Il decreto-legge 112 prevede la riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo di finanziamento ordinario e un taglio del 46 per cento sulle spese di funzionamento. Un combinato che farà mancare l'ossigeno agli atenei e li costringerà, anche attraverso la trasformazione in Fondazioni, a cercare capitali privati. Sempre in ambito universitario a preoccupare è lo striminzito turn over previsto dal decreto. In pratica, ogni cinque professori che andranno in pensione, gli atenei potranno assumerne solo uno. Con buona pace di ricercatori e precari di vario genere. Classi-ponte o classi separate? Il decreto non prevedeva l'ultima idea della Lega che ha scatenato una marea di polemiche. In pratica si fronteggiano due posizioni: quella governativa, che sostiene che non si pensa a classi separate per stranieri ma solo a classi che favoriscano un migliore apprendimento della lingua italiana, così da inserirli meglio insieme ai bambini italiani, e quella delle opposizioni, che sostiene che si vogliono creare classi separate per stranieri, gridando alla ghettizzazione. Al di là dei freddi numeri comunque, quello che sembra emergere maggiormente dall'analisi di tutti i motivi di protesta è l'esigenza di fare cassa, subito. E quello che manca è il progetto educativo, un'idea di fondo, una stella polare. Insomma, quel qualcosa senza cui una riforma della scuola non si può mettere in cantiere. Dove sta il dibattito culturale dietro la riforma di un settore fondamentale per la vita del paese? Se qualcuno ha voglia di ricordare, anche all'epoca del più solido predominio democristiano, prima di intervenire venivano messe in piedi commissioni pluralistiche i cui lavori venivano pubblicizzati e dove sfilavano eminenti studiosi chiamati a dire la loro. Per carità, le maggioranze erano blindatissime, ma almeno si discuteva. Condividi