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di Isabella Rossi Ieri pomeriggio al Teatro Morlacchi erano in tanti, e in maggioranza giovani, quelli venuti ad incontrare Ascanio Celestini, partito come studente di antropologia e finito, si fa per dire, nei teatri di tutta Italia. Attore, scrittore, drammaturgo, la svolta carrieristica avviene nel 2000 con “Radio Clandestina” lo spettacolo sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. Nel 2002 il Premio UBU speciale "per la capacità di cantare attraverso la cronaca la storia di oggi come mito e viceversa". Da allora premi e riconoscimenti sono letteralmente piovuti sul giovane drammaturgo che pochi giorni fa ha presentato proprio a Perugia, in prima assoluta, il suo nuovo spettacolo dal titolo “Parole Sante”. Un teatro di narrazione tutto italiano, lo ha definito il professor Alessandro Tinterri dell’Università di Perugia, suo interlocutore nel colloquio informale davanti alla platea del Morlacchi. E un teatro che non trova corrispettivo, ad esempio, in Germania. Gli spettatori riacquisiscono la memoria collettiva attraverso i suoi spettacoli in cui trovano spazi le storie di tante vite e di tanti destini ignorati dalle memorie ufficiali, ha spiegato il professore. Ma Celestini, carismatico affabulatore, in un quasi monologo di quasi due ore accoglie solo in parte questa definizione. “Non esiste la memoria condivisa ma esiste la condivisione della memoria”, afferma spiegando che “quello della memoria condivisa è un gioco pericoloso.” La memoria è scontro, conflitto. E’ un’esperienza individuale e se viene svincolata dal contesto personale diventa solo un argomento per i giocatori di briscola al bar, chiarisce Celestini. E a lui il teatro, durante gli anni di studio, sembrò l’unica espressione artistica in cui l’oralità, sui cui l’intera analisi antropologica si basava, potesse calarsi senza ostacoli. La ricerca teatrale di Celestini è di fatto un’esperienza antropologica, dove la finzione è da considerarsi “sempre più un giochino. Come quando l’attore entra in scena e fa finta che non c’è il pubblico. Un giochino” illustra il drammaturgo. E continua: “Chi fa teatro oggi fa politica in senso etimologico”. Il teatro richiede per sua natura un coinvolgimento che inizia già dallo spostamento fisico, mentre "la televisione oramai è un elettrodomestico come la lavatrice". La maggior parte dei giovani non la guarda, dice Celestini sottolineando che è sulla rete che si sta giocando la partita più importante. E come a ribadire che i confini sono da considerarsi oramai soltanto virtuali, nei suoi lunghi interventi, che prendono spunto dalle domande lanciate dal professore o dal pubblico, Celestini non si ferma al teatro ma esplora la realtà. Della scuola parla il giovane autore, “la maggior parte dei lavori che saltano sono quelli delle donne”; dell’ Italia dei Valori, “è un partito di destra ma è l’unico che sta facendo quello che è giusto fare oggi in Italia, uno dei partiti migliori in Italia, e io questo lo trovo imbarazzante”. E di Licio Gelli, candidato al premio Nobel per la letteratura. "Davanti a questa situazione", ha concluso Ascanio che ieri indossava una maglietta con su scritto 'Verità per Aldo' (Aldo Bianzino, ndr), "citando Brecht, l’artista non può più parlare dei fiori". E pensare che lui fino all’età di vent’anni a teatro c’era stato solo tre volte, con la scuola. E “fosse stato per quegli spettacoli” ha dichiarato candidamente il giovane autore davanti alla platea entusiasta del Morlacchi “non avrei fatto teatro”. Condividi