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di Nicola Bossi Nicola Coniglio aveva 35 anni quando è precipitato giù da una piattaforma elettronica, insieme ad altri due colleghi, fissata in un condominio di via dei Filosofi. Era il settembre del 2005. Morirono due sul colpo, un altro due mesi dopo tra atroci dolori all'ex Silvestrini. Fu la tragedia più grande per Perugia a riguardo delle morti sul lavoro. Rita Curcio, moglie di Nicola Coniglio, alla fine di settembre ha ottenuto una sentenza a favore - ma che piace a pochi - dove riceve come indennizzo 180mila euro. Ma la condanna, su cui lei contava tanto affinchè fosse esemplcare, è stata invece blanda per colui che ha indotto alla morte i suoi operai: 2 anni e 8 mesi al notissimo imprenditore Paolo Milletti. Ora, a tre mesi, da quella sentenza Rita Curcio, giovane vedova e mamma di due gemelline, si trova nella parte di quelle tante vittime del lavoro che non hanno in mano quasi niente. Assediata dagli avvocati che sono giunti al terzo sollecito di pagamento - parcella di 22mila euro -, ancora nessun denaro è entrato nella sua tasca (il rischio è che il colpevole sia all'improvviso nulla-tenente), non ha più un giovane compagno a scaldargli la notte e il giorno, le feste non sono più feste come testimoniano gli sguardi tristi delle due gemelline. Ed infine, quello che più gli fa male in senso assoluto: non ha ottenuto giustizia. Perchè la morte di un ragazzo di 35 anni non può valere una sentenza da 2 anni e 8 mesi. I magistrati hanno dato tutte le generiche al ricco imprenditore, colpevole solo di non aver dato libretto delle istruzione e fatto formazione su come si usasse quella piattaforma. Per il resto, anche se non è stato scritto, la colpa è di chi la manovrava. Ma questa è solo la prima ingiustizia di questa storia: perchè forse un po' per colpa di chi l'assisteva legalmente e perchè la magistratura non aveva trovato elementi interessanti, il direttore dei lavori è stato completamente assolto. Fortuna per lui. Ma per la famiglia Coniglio questa assoluzione è difficile da spiegare e vedremo, perchè in seguito, carte alle mani. Quel maledetto 3 settembre del 2005 fui inviato dal mio direttore di allora de La Nazione, Mauro Avellini,in via dei Filosofi: i corpi erano ancora a terra caldi: due infilzati a croce, uno sopra l'altro. I telefonini suonavano sotto i corpi. Uno strazio. Erano le moglie che volevano sapere quando e se tornavano per pranzo. Di quel cantiere mi ricordo due cose: che la sicurezza non c'era, nè per i passanti (il bar era attaccato) nè per i lavoratori. L'Asl come pubblicheremo in seguito lo confermerà. Quindi chi era proprietario e chi era direttore dei lavori in tutti quei giorni non aveva fatto niente per la sicurezza. E qui non siamo al semplice omesso controllo sul funzionamento della piattaforma. Qui siamo al solito pressapochismo da cantiere in Umbria. (continua) Condividi