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di Gaetano Veninata Il Senato statunitense ha approvato il piano il piano di salvataggio del sistema finanziario messo a punto dal segretario al Tesoro Henry Paulson, con 74 voti a favore e 25 contrari. L’Economic Stabilization Act, una mega-manovra da 700 miliardi di dollari, ha dunque superato lo scoglio Senato, dopo essersi arenato nelle secche della Camera, affondato da colpi bipartisan. I due candidati alla Casa Bianca, Barack Obama e John McCain, erano entrambi presenti durante la votazione, a conferma dell’importanza del provvedimento, sia per le tasche dei contribuenti americani, sia per la sopravvivenza di un sistema finanziario drogato e intossicato dai fumi di una speculazione giunta a livelli insostenibili per la zoppicante economia americana. Il piano di Paulson, sospinto da una grande campagna mediatica e dal sostegno deciso del Presidente Bush, ha però subito notevoli cambiamenti rispetto all’originale, bocciato dalla Camera il 30 settembre: dalle tre iniziali si è passati a ben 450 pagine, con modifiche sostanziali in grado di accontentare i picconatori di entrambi gli schieramenti. La maggiore opposizione al piano era venuta dai deputati repubblicani, cioè dal partito del presidente: tra ridicole accuse di “bolscevismo” e timori per le ripercussioni elettorali (gran parte degli elettori sono convinti che il piano miri infatti a salvare le grandi compagnie di Wall Street, ma faccia ben poco per i risparmiatori e per chi non è più in grado di pagare i mutui delle case), il progetto Paulson era stato sommerso da una valanga di no, nonostante le esortazioni della speaker della camera Nancy Pelosi (democratica) e del capo della minoranza repubblicana John Boehner, nonché dei due candidati presidenziali. L’Economic Stabilization Act rimesso a nuovo dai senatori prevede due sostanziali e significative modifiche rispetto all’originale: altri 150 miliardi di dollari al progetto iniziale in tagli fiscali e la certezza di un forte aumento delle garanzie sui depositi bancari. Il voto positivo del Senato è stato accompagnato da una ripresa della Borsa (opposta al crollo seguito al rifiuto della Camera) e da numerosi sospiri di sollievo anche aldilà dell’oceano. L’Europa, infatti, nonostante la crisi non abbia finora raggiunto i livelli toccati negli Stati Uniti, teme ripercussioni sui propri mercati e sa bene che uno stallo a stelle e strisce sarebbe grave anche per l’economia del Vecchio Continente. Nonostante ciò, assistiamo ogni giorno al teatrino di Tremonti e Berlusconi che vanno in televisione a spiegare che sì, un po’ di crisi c’è, ma il sistema Italia è diverso, reggerà. Sarà. Ma molti analisti, tra cui Tito Boeri (lavoce.info), lanciano allarmi sullo stato dell’economia europea (e italiana): “Per giorni e giorni i politici europei e il governo italiano hanno sostenuto che l'Europa è sostanzialmente fuori dalla crisi finanziaria che sta falcidiando banche e assicurazioni negli Stati Uniti. Forse questo messaggio rassicurante serviva a coprire il fatto che le autorità europee, da quando la crisi è iniziata, non hanno fatto pressochè nulla per fronteggiare un possibile contagio. Sappiamo da questo fine settembre che l'Europa, come era prevedibile, è invece pesantemente investita dallo tsunami finanziario”. Boeri ha ragione. La nazionalizzazione de facto della Fortis, colosso bancario e assicurativo del Benelux, ne è un significativo esempio. Se l’Europa abbia bisogno o meno di un piano Paulson è materia che lascio agli economisti. Mi preoccupa maggiormente il fatto che la sinistra sia assolutamente impreparata ad affrontare una crisi di tali dimensioni. Il capitalismo trionfante dell’ultimo ventennio neoliberista ripiega su se stesso ed è costretto a ricevere l’aiuto pubblico, e la sinistra che fa? Tra nuove tessere e convegni è assolutamente fuori dai giochi. Il capitalismo neocon in crisi dialoga con il capitalismo “socialdemocratico” mentre i soggetti sociali vittime prime dell’intero sistema mutui languono in attesa del prossimo contentino. Rifondazione comunista deve decidere se vuole rifondare davvero qualcosa, o se per avere analisi e soluzioni ai problemi “di questa sofferente umanità italiana” occorrerà affidarsi al riformismo moderato del Pd. “Riformismo, sì: sempre meglio di un immobilismo che comincia a fare paura”: questo inizieranno a pensare gli elettori. Il Prc si svegli. Condividi