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La cosa che mi ha colpito di più della bella e istruttiva discussione di oggi è questa: che da un lato, lo diceva prima il segretario del circolo dell'Alitalia, i lavoratori si sentono abbandonati, si sentono soli, c'è un sentimento enorme di solitudine, di disperazione. Dall'altro si parla di ricostruire la speranza; il compagno De Angelis, diceva: "vorrei parlare non in quanto io sono licenziato, ma a partire dal fatto che uno come me venga licenziato" per vedere come si ricostruisce una lotta; oppure il compagno dei Giovani Comunisti di Catania che ci ha raccontato come in una realtà difficile si possano far valere la propria dignità e le proprie ragioni. Il nostro principale problema politico è proprio questo: solitudine e disperazione da un lato; speranza e dignità dall'altra: difficoltà a trovare i percorsi per passare, a livello di massa, da una condizione all'altra, a tenere insieme questi due nodi. Colpisce questa difficoltà perché, ci sono state altre fasi della storia del movimento operaio del nostro Paese in cui denunciavi la condizione di sofferenza, di bassi salari ma, nel contempo, vedevi anche il percorso attraverso cui cambiare concretamente la realtà e ricostruire la speranza. Oggi non è così e per questo penso che il problema di una politica di sinistra sia questo, di come riusciamo a costruire un percorso, una connessione tra la disperazione e la speranza. O riusciamo a fare questo, oppure la nostra politica è muta e quel legame lo costruisce in modo fittizio la destra populista attraverso l'individuazione del nemico, del capro espiatorio. In Italia manca l'opposizione E' proprio per ricostruire questo percorso, questo nesso che oggi abbiamo convocato questa assemblea - e ringrazio il migliaio di compagni e compagne che ha voluto partecipare - sul tema "ricominciamo dall'opposizione". Perché la vera novità negativa di questo Paese non è che il governo Berlusconi stia governando, non è la prima volta. Il problema è che è la prima volta che di fronte ad un governo di Berlusconi e Confindustria non c'è un'opposizione degna di questo nome. Questa è la vera novità che abbiamo davanti. Non è vera opposizione l'antiberlusconismo giustizialista di Di Pietro ne il profilo emendatario di Veltroni, perché nessuna delle due opposizioni parlamentari si sogna nemmeno lontanamente di fare opposizione alle politiche di Confindustria che è la vera ispiratrice del governo. Il fatto che non ci sia nessuna opposizione reale in questo Paese è dato da questo fatto: non c'è un'opposizione complessiva al disegno del governo e al disegno di Confindustria, non c'è un'opposizione che proponga un'alternativa; ci sono degli emendamenti, c'è l'opposizione su un punto specifico, magari giustissimo come il Lodo Alfano, ma non c'è un disegno alternativo. Dobbiamo quindi ricominciare dall'opposizione, costruire una opposizione di sinistra come scelta di fase, perché il disagio della società italiana non comincia da oggi ma è il frutto di un lungo processo di attacco alle conquiste operaie e del movimento; parte dagli anni '80. Pensiamo solo alla drastica redistribuzione del reddito dal basso verso l'alto avvenuta nel nostro paese, redistribuzione che ha determinato un vero e proprio impoverimento progressivo, di massa, che ha riguardato larga parte della popolazione. Questo impoverimento è stato vissuto, ed è vissuta oggi, dalla nostra gente, come un problema individuale che non ha avuto se non molto parzialmente, risposte collettive. La questione sociale vissuta come dramma individuale Questo è il secondo nodo politico che voglio sottolineare: La gente ha paura perché vive come un fatto individuale quello che è un dramma sociale. Possiamo raccontarcela come vogliamo ma il nodo che abbiamo davanti è questo qui: di un governo di destra che marcia alla velocità della luce assieme alla Confindustria e dell'assenza di un'opposizione; di una sofferenza concreta, quotidiana di milioni di persone che non si riesce a connettere alla speranza; del fatto che questa sofferenza viene vissuta come un fatto individuale, sovente come un dramma di cui vergognarsi. Quanta gente c'è che non ha il coraggio di dire che è sfrattata, perché in ufficio fai la figura del poveraccio se dici che sei sfrattato? Quanta gente c'è che ha smesso di fare la spesa nel negozio sotto casa e deve andare al Discount a prendere roba, magari non di eccelsa qualità, perché altrimenti non ce la fa ad arrivare alla fine del mese? Quanta gente c'è il cui nonno dà i soldi al nipote per uscire il sabato perché i genitori non hanno i soldi per darglieli? Quanta gente c'è in queste condizioni? In questa solitudine cresce la paura del futuro, cresce la disperazione. Noi non partiamo solo da una sconfitta della sinistra. Noi partiamo da una sconfitta della sinistra dentro al fatto che il drammatico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone non viene vissuto come problema politico, come problema collettivo, ma come dramma individuale. In questo quadro di atomizzazione sociale la destra si muove perseguendo un disegno organico come hanno fatto notare gli interventi di oggi. Innanzitutto punta alla distruzione del Contratto nazionale di lavoro e vuole obbligare i lavoratori ad un rapporto individuale col loro datore di lavoro, senza più nessuna tutela collettiva. Per questo si usa la vicenda dell'Alitalia per smontare il contratto nazionale e proporre l'aziendalizzazione del contratto, per questo Brunetta attacca il Pubblico Impiego, perché per smontare i contratti nazionali di lavoro, bisogna distruggere il contratto nazionale del Pubblico Impiego. Smontare i contratti nazionali significa cambiare natura al sindacato; non è niente di meno di quanto provò a fare Berlusconi nel 2002 rispetto all'articolo 18, è la stessa idea: cancellare il sindacato di classe per trasformarlo in un sindacato che gestisce il collocamento della forza lavoro precarizzata. Così come persegue un disegno organico sulle grandi opere, dove il denaro pubblico, a discapito dell'ambiente e delle comunità locali, serve a foraggiare le imprese e a ridistribuire ulteriore reddito. Così come utilizza l'emergenza rifiuti di Napoli per imporre la logica degli inceneritori. Una logica aberrante in cui invece di agire sulla riduzione dei rifiuti e sulla raccolta differenziata, si costruisce il business dell'incenerimento, ovviamente a cura dei privati, in cui gli affari vengono fatti a discapito dell'ambiente e della salute pubblica. Una logica aberrante a cui ci opponiamo duramente. Parallelamente l'attacco alla scuola e ai servizi non è solo fatto per risparmiare risorse ma per favorire il settore privato e contemporaneamente per introdurre modelli culturali reazionari. Così come il federalismo fiscale determinerà la riduzione del welfare ma anche la riproduzione a livello territoriale della guerra tra i poveri. Se se passa il principio che le Regioni sono titolari delle tasse e poi le Regioni, quelle più ricche, per bontà loro, mettono una quota di risorse per un fondo perequativo nazionale, la prima cosa che succede è che alle prossime elezioni regionali, nelle regioni più ricche, vincerà chi propone di non mettere niente nel fondo di perequazione, di tenere i soldi a casa propria. Si potrebbe proseguire sulla magistratura e lo diceva prima Peppino Di Lello; il modo con cui viene proposta la riforma della magistratura fa leva sul fatto che la gente è insoddisfatta di come funzionano i tribunali, ma il risultato concreto è quello di mettere la mordacchia ai giudici, cioè far sì che l'Esecutivo possa, nei fatti, decidere quali sono i reati che si perseguono e quelli che non si perseguono. Il disegno della destra L'obiettivo della destra è quindi un ridisegno complessivo del Paese in cui gli elementi del patriarcato, del sessismo, del razzismo, non sono elementi accessori, non sono il rimasuglio di un passato che non passa - come si vede dalle dichiarazioni fasciste di La Russa e nel rifiuto di dichiararsi antifascista da parte di Berlusconi - sono un pezzo costitutivo. Questa destra, peggiora le condizioni di vita della gente con la sua politica confindustriale e poi ricostruisce consenso facendo leva sulle paure e costruendo capri espiatori. La destra dice: "guardate la situazione è di crisi, non ce ne è per tutti. Come ci si salva se la coperta si stringe? Mettendo fuori dalla coperta i piedi di qualcun altro." e allora la Lega Nord dice che non bisogna dare i soldi al sud; agli operai, tolgono il contratto nazionale di lavoro ma propongono "salvati tu nella tua azienda, facendo straordinari, contro gli altri operai e le altre aziende"; con il federalismo fiscale ti dicono "salvati tu nella tua regione contro le altre regioni", ecc. E' la logica di guerra tra i poveri come modalità concreta di gestione del consenso in una fase di peggioramento delle condizioni di vita. Questa è la destra. Alla destra non basta sconfiggere la sinistra, deve distruggere il conflitto di classe per poter governare. È una destra che utilizza l'insicurezza sociale prodotta dalle sue politiche per fare leva sulla paura per costruire idee reazionarie, contro l'immigrato, contro lo zingaro, contro il diverso… diventa lui il nemico, diventa lui il capro espiatorio. Non è una destra che ha qualche rimasuglio di fascismo, di culture reazionarie; è una destra che è razzista, sessista, legata al patriarcato, perché questi sono nodi fondanti per costruire su un terreno ideologico e delle paure, il consenso che non può costruire e non potrebbe costruire sul terreno delle politiche economiche e sociali. Per battere la destra La costruzione di una opposizione di sinistra efficace vuol dire quindi costruire un immaginario alternativo a quello dominante e parallelamente ricostruire il conflitto sociale; o ricostruiamo il conflitto di classe in questo Paese, del basso contro l'altro, oppure vince la guerra tra poveri; il punto della ricostruzione del conflitto è decisivo per cambiare i rapporti di forza, ma anche per cambiare il rapporto tra la società e la politica; altrimenti una società che ha paura del domani e che si sente impotente non può far altro, rispetto alla politica, che chiedere "per favore" . Non a caso il paradosso che viene fuori, è che più la condizione sociale peggiora e più le destre al governo si consolidano, perché la pratica della clientela, del favore, del "per favore", diventa l'unico tramite tra la società e la politica. La ricostruzione della lotta serve a cambiare i rapporti di forza ma in primo luogo è la ricostruzione della tua dignità e della consapevolezza che assieme si possono cambiare le cose. Al Congresso abbiamo detto che la piena autonomia politica dal Partito Democratico è una condizione necessaria ma non sufficiente per ricostruire tutto questo. Svolta a sinistra vuol dire una cosa semplice: che riconosciamo il fatto che il Partito Democratico, col suo profilo confindustriale, non ha un disegno alternativo a quello delle destre e per questo non può efficacemente affrontare i problemi sociali del paese. Per questo diciamo che è inutile stare lì a tirare la giacchetta al Partito Democratico, bisogna che la sinistra e i comunisti siano in grado di proporre una costruzione dell'opposizione e dell'alternativa a partire dalle proprie forze; è inutile pensare che Veltroni cambi idea perché glielo chiediamo. Il PD può cambiare idea se nella società si costruisce un movimento di massa che sia in grado di modificare il senso comune di massa. Se non c'è lotta di classe ma guerra tra poveri, non ci sarà altro che l'inseguimento a destra verso la Lega e verso l'UDC. Questo non vuol dire che dobbiamo passare il tempo a litigare col PD ma semplicemente che occorre tirarsi su le maniche, smetterla di lamentarsi per il fatto che il PD non fa le cose che ci piacerebbe facesse e provare sul serio a costruire una alternativa. Nessun settarismo ma chiarezza dei nostri compiti, nella consapevolezza che non siamo l'estrema sinistra del PD ma un'altra sinistra. Dobbiamo avere chiarezza che le sinistre sono due e noi non siamo l'ala estremista della sinistra moderata. Contro l'Europa dei padroni In primo luogo occorre mettere al centro la lotta per un'altra Europa perché quello europeo è un laccio enorme per il conflitto sociale. Un tempo dicevamo "contro l'Europa dei padroni bisogna costruire l'Europa dei popoli", credo che dobbiamo riprendere questa parola d'ordine di fronte ad un Parlamento italiano che qualche mese fa ha votato all'unanimità, dalla Lega Nord al PD, l'adozione del trattato di Lisbona. Questa Europa, in cui la Banca Centrale Europea opera al di fuori i qualsiasi controllo politico o sociale e ha come unico compito la stabilità della moneta è una Europa strutturalmente Liberista e in quanto tale antioperaia e antipopolare. Occorre riprendere con forza, anche a partire dal Forum Sociale di Malmo questa battaglia, rafforzando le reti europee di movimento e individuando scadenze di lotta comuni. Pensiamo solo alla direttiva europea sugli orari di lavoro a cui faceva cenno Roberto Musacchio nel suo intervento: una schifezza in cui l'orario settimanale può tranquillamente raggiungere le 65 ore. Una Europa che serve ad obbligare i singoli stati a fare politiche antipopolari come nessun singolo governo nazionale avrebbe il potere di fare da solo. Bisogna rilanciare questa battaglia forte, contro questa Europa del patronato senza timidezze. Noi non siamo nazionalisti, noi vogliamo un'Europa dei popoli, contro questa Europa delle tecnocrazie e dei padroni dobbiamo lavorare di più con il Partito della Sinistra Europea. La manifestazione dell'11 ottobre Il secondo nodo è la costruzione di una mobilitazione generale contro la linea del governo e contro la Confindustria, per questo abbiamo lavorato alla manifestazione dell'11 ottobre, una manifestazione che unisce tutte le forze della sinistra, che dobbiamo ulteriormente allargare nei prossimi giorni. Una manifestazione che deve dialogare con le altre iniziative che ci sono, dalla mobilitazione del 18 settembre contro il carovita, alla mobilitazione del 27 della CGIL, al 4 ottobre la manifestazione dei migranti, allo sciopero generale del 17 ottobre del sindacalismo di base che salutiamo con assoluto favore e a cui aderiremo come Rifondazione Comunista. Noi dobbiamo lavorare a far riuscire la manifestazione dell'11 ottobre e dobbiamo costruire il massimo di sintesi, di sinergia, tra tutte le mobilitazioni. Dobbiamo costruire una opposizione di sinistra che è tale perché contro governo e Confindustria; che è tale perché si muove sulle questioni sociali come su quelle democratiche, come su quelle dell'ambiente, dei diritti civili e della laicità dello Stato. Una opposizione di sinistra perché tiene insieme tutti questi obiettivi e quindi propone un'alternativa. La centralità della mobilitazione dell'11 ottobre è questa: ricostruire una opposizione di sinistra. De Angelis diceva "c'è bisogno di unità". Giusto, il massimo di unità sulle cose da fare nella costruzione dell'opposizione, nella consapevolezza che ognuno di noi, dentro questo movimento, ci sta con la propria identità. Quindi, nessuna sbavatura, nessun settarismo; abbiamo lavorato perché la manifestazione dell'11 si costruisse come un appello di firme, di persone, questo ha permesso a tutti di starci dentro. In questa opposizione noi ci vogliamo stare con la nostra identità, perché pesiamo che il problema fondamentale - lo ha dimostrato la vicenda del governo Prodi - è l'unità su contenuti e percorsi chiari. Quindi il massimo di unità sulle cose da fare nella costruzione dell'opposizione nella chiarezza che ognuno ci sta con il proprio profilo. Per questo la manifestazione dell'11 è un punto decisivo. Non vogliamo più andare alle manifestazioni degli altri, vogliamo costruire un movimento, largo plurale e di sinistra, in cui provare a costruire l'alternativa. Costruire vertenzialità e mutualismo Bisogna sapere che però non basta la manifestazione nazionale; dobbiamo cominciare a costruire concretamente delle vertenze sui territori. Bisogna ricostruire nei territori un elemento di partecipazione vertenziale; sarà la vertenza contro l'aumento delle tariffe dei comuni, o per abbassare le tariffe sui servizi, sugli asili nido, sulle scuole materne; sarà la vertenza per ottenere che gli alloggi pubblici che ora sono sfitti vengano ristrutturati e dati agli sfrattati, sarà la vertenza fatta per obbligare un supermercato a bloccare alcuni prezzi e tenerli fermi per un anno. Sarà la vertenza, in Val di Susa, per impedire che partano i lavori della TAV; sarà la vertenza a Vicenza per vincere il referendum contro la base militare statunitense. Dobbiamo ricostruire una capacità di costruire vertenze sui territori; un tempo si sarebbe chiamata contrattazione articolata. Dobbiamo costruire la manifestazione, l'iniziativa centrale, ma dobbiamo essere capaci sui territori a ricostruire la nostra presenza, la nostra utilità sociale rispetto ai problemi che la gente vive quotidianamente tutti. Noi, a chi non arriva alla fine del mese, non gli possiamo solo dire di venire alla manifestazione a Roma; è necessario, ma nel frattempo quello continua a non arrivare alla fine del mese. Dobbiamo anche costruire dei percorsi di lotta che cambino quella situazione, provare ad aggregare, provare a far sì che quella disperazione si possa tradurre in un percorso di conflitto, che si agisce collettivamente. Non basta la propaganda: propongo che ogni Federazione provi a costruire almeno una lotta esemplare sulla questione del caro vita, da costruire con altri soggetti. Propongo il tema del caro vita non perché sia l'unico. E' evidente che ci sono tante questioni, dalla precarietà, alla scuola, all'ambiente. Ci sono mille questioni su cui dobbiamo costruire conflitto e partecipazione ma propongo di tenere il filo rosso del caro vita perché questa è la questione maggiormente unificante a livello di massa. Non voglio fare gerarchie ma individuare una priorità per rompere l'isolamento individuale. Oltre alle vertenze penso che dovremmo aprire una attenzione e un intervento sulle questioni delle forme di solidarietà e di mutualismo. L'altro giorno, quando c'è stata l'assemblea dei ferrovieri, discutevamo per vedere cosa fare rispetto al licenziamento di De Angelis, ho avanzato la proposta di fare una cassa di resistenza contro i licenziamenti politici, affinchè uno non si trovi solo quando viene licenziato. Vi proporrei di ragionare sul fatto che nella storia del movimento operaio, sempre c'è stato l'elemento della lotta e della rivendicazione, ma anche la capacità di dare delle risposte concrete. L'altro giorno ero alla Festa di Liberazione di Venezia e c'era la compagna responsabile della cucina, che mi raccontava di come nel suo passato avesse cominciato a fare il "capocuoco" alle mense dell'UDI (Unione Donne Italiane), che a Chioggia negli anni '50 organizzavano le colonie per i bambini e le bambine della pedemontana veneta, di Belluno, di Treviso, che non avevano i soldi per andare al mare. L'UDI, in rapporto con il Partito Comunista, organizzava le colonie dai paesi di montagna. Io penso che la storia del movimento operaio è piena di episodi di questo tipo, cioè di una capacità di costruire forme di solidarietà e di mutualità. Negli ultimi anni abbiamo solo saputo rivendicare e quando dalla rivendicazione non si portava a casa nulla, dire "è colpa loro". Su questo "è colpa loro", senza altre proposte, è maturato un pezzo dell'impotenza generale che viviamo. Io penso che bisogna saper rivendicare, fare la rivendicazione generale, fare la rivendicazione concreta, ma anche organizzarci per dare un pezzo di risposta ai bisogni concreti. In quella organizzazione di un pezzo di risposta mutualistica, organizzare la tua gente, non lasciarla da sola una volta che è finita la manifestazione. Dobbiamo imparare dalla storia del movimento operaio come dai centri sociali. Questo è il senso della svolta in basso che dobbiamo fare come Rifondazione Comunista. Dobbiamo aprire questo lavoro politico senza fare gerarchie tra battaglie di libertà e di giustizia ma valorizzando il fatto che ognuno parta a far politica dal suo specifico, che ognuno ed ognuna diventi un organizzatore, a partire dalla condizione che vive. Se stai nella scuola parti dalla scuola, se sei sfrattato partirai dalla casa, se sei in un ufficio, partirai dalle questioni dell'ufficio. Quella è la buona politica. Dobbiamo riprendere quanto abbiamo detto a Genova e cioè che c'è una politicità del conflitto sociale, ce lo dobbiamo ridire, perché troppo spesso ce lo siamo scordato. Il lavoro nelle istituzioni è il 30% del lavoro politico, il restante 70% deve essere la capacità di agire concretamente nella società e allora ognuno parta da dove è. Come ci hanno insegnato le compagne, ognuno parta da sé; non ci sono luoghi privilegiati della politica, non c'è la frontiera più avanzata della politica, ognuno parta dalle contraddizioni che ha e che vive nel suo quotidiano e provi a renderle elemento di discussione e organizzazione collettiva. Lo sfruttamento non è "normale". Nella costruzione di un percorso collettivo ci sta il nostro essere comunisti; il punto non è solo il rapporto con la nostra memoria e la sua analisi critica, il dirsi comunisti e antistalinisti; il punto è la costruzione di un immaginario, di un sistema di valori, di una ideologia alternativa a quella dominante. Abbiamo detto che nell'immaginario collettivo si è affermata l'idea che questo stato di cose sia naturale, normale, e che quindi non ci sia nulla da fare. Questa "naturalizzazione" dello sfruttamento genera impotenza, disperazione. Essere comunisti vuol dire che non è vero che chi è ricco ha ragione, che chi è povero ha torto; che siamo nati tutti eguali e che la diseguaglianza non è un fatto naturale. Che la libertà non è solo la libertà di scegliere alle lezioni tra due schieramenti, ma la libertà di ogni individuo di autoderminare la propria esistenza in un quadro in cui l'eguaglianza rispetti le differenze. In questo capitalismo distruttivo il nodo della rifondazione comunista è più attuale che mai. Contro la nuove legge elettorale per le europee Da ultimo sappiamo che le buone idee hanno bisogno di gambe su cui marciare. Per questo difendiamo il fatto che questo nostro partito ci sia, possa continuare ad esistere, e non abbiamo nessuna vergogna di opporci alla schifezza di legge elettorale che Berlusconi vuole fare per le europee, perché quello è un tentativo di omicidio di Rifondazione Comunista. Il motivo per cui Berlusconi propone la legge è duplice: impedire alla sinistra di entrare nel Parlamento europeo ed impedire ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti attraverso l'abolizione delle preferenze. In questo modo i due grandi partiti possono sostanzialmente decidere tutti gli eletti, senza più che i cittadini possano decidere niente. Noi contro questa legge dobbiamo fare le barricate e a chi ci viene a dire che lo facciamo per difendere la nostra presenza anche nelle istituzioni, io penso che bisogna rispondere di si, perché il fatto che esista una sinistra, che esista Rifondazione Comunista è utile per la civiltà del paese. Per concludere, io penso che noi da domani dobbiamo provare a rimetterci in cammino, come opera collettiva, come Partito, al di là delle diverse opinioni che abbiamo e su cui ci continueremo a confrontare. Costruire l'opposizione sul piano europeo e nazionale come grande opposizione unitaria, di sinistra; costruire vertenze e mutualismo; lottare contro il golpe della nuova legge elettorale. In questo percorso di lotta credo potremo anche ricostruire il senso della nostra opera collettiva, della nostra comunità. Condividi