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ORVIETO - Le canzoni di Gino Paoli tradotte in jazz, ed anche un omaggio del cantautore genovese ad una musica che ha sempre amato. Ieri sera a Umbria Jazz Winter è andato in scena il progetto ideato da un composito quintetto che vede, insieme a Paoli, Enrico Rava alla tromba, Danilo Rea al piano, Rosario Bonaccorso al basso e Roberto Gatto alla batteria. Il progetto e' già stato documentato nei bit di un cd Blue Note con il titolo ''Un incontro di jazz'', ed il concerto di ieri, con lo stesso titolo, è stato trasmesso in diretta dal teatro Mancinelli da Rai International. La scelta di sostituire i tradizionali standard americani con il repertorio della canzone d'autore italiana non e' certamente nuova per i nostri jazzmen, e non è estranea alla straordinaria stagione di maturità del jazz nazionale. I temi di Modugno, De André, Tenco, per non parlare della grande melodia napoletana, funzionano benissimo per l'improvvisazione jazz, non meno di quelli di Cole Porter o Irving Berlin e permettono ai musicisti italiani di esprimere i legami con le proprie radici culturali. Le canzoni di Paoli si prestano bene all' operazione, forse meglio di altre, per via di quel clima di malinconico esistenzialismo che ''fa tanto jazz''; per di più, Paoli ha avuto con la musica americana un rapporto molto confidenziale. Tutti ricordano, per esempio, il solo di sax tenore di Sapore di sale (estate 1963) che fu suonato da un giovane Gato Barbieri ben prima della colonna sonora di Ultimo tango a Parigi e della partecipazione ad Escalator over the hill di Carla Bley. Chi ama le canzoni di Gino Paoli ed il jazz, ieri si è divertito. Sassi, La gatta, Senza fine, Che cosa c'è, Il cielo in una stanza, Una lunga storia d'amore sono temi che fanno parte della soundtrack che ha accompagnato le vicende private di più di una generazione di italiani. Riciclate in chiave swing acquistano una nuova freschezza, anche se talvolta, sottoposte alle lunghe improvvisazioni dei solisti, perdono un po' in concisione. Il risultato è però godibilissimo, perché Paoli è ovviamente in grado di rifare come vuole il look delle sue creature ed i quattro attorno a lui non per nulla sono trail meglio del jazz italiano. Una nota la merita in particolare Gatto: suonare la batteria, come ha fatto ieri, con il braccio sinistro quasi immobilizzato da un malanno passeggero è qualcosa di più che “stoico”, come lo ha definito Paoli. Meno convincente la parte del concerto in cui il cantante riprende gli standard americani, anche perché ascoltando temi come Time after time, I fall in love too easely e soprattutto la conclusiva Fly me to the moon, ben altri vocalisti, da Frank Sinatra a Tony Bennett a Bobby Darin, vengono alla memoria. Condividi