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Si sa, Serse Cosmi, attuale allenatore del Brescia in serie “B”, con un indimenticabile passato alla guida dei Grifoni, è uomo schietto e dice sempre ciò che pensa., per cui, intervistato da Massimo De Marzi, per l’Unità, che gli ha chiesto se ha senso di parlare di autarchia e di posti garantiti per gli italiani nei nostri campionati di calcio, ha così risposto: Bisogna saper accettare quello che significa il mercato. Non si possono pretendere i quattrini delle tv e degli sponsor e poi far bloccare tutto. E’ vero che il calcio è una cosa particolare, ma ogni club deve essere libero di fare squadre con tutti ragazzi italiani, oppure con 11 stranieri. Quello che conta è la sopravvivenza delle società. E la tutela dei vivai”. Che cosa intende in concreto con difesa dei vivai? A questa domanda Cosmi ha così risposto: “Bisogna farne un fiore all’occhiello del nostro movimento, tutelarli come si fa con la moda. Bisogna dare uno stile ai nostri settori giovanili, favorire le società che ci investono, magari impedendo che dall’estero si possa venire ad acquistare i nostri migliori ragazzi di 16-17 anni praticamente a costo zero. Ma qui occorre una normativa a livello europeo, deve intervenire la Uefa, non si può pensare di fare qualcosa solo in Italia. Viviamo nell’era delle globalizzazione, vale anche per il calcio”. Come si può fare per far crescere più talenti italiani? “Intanto non perderli quanto stanno sbocciando. Un anno fa abbiamo lasciato partire un campione come Giuseppe Rossi. Non diciamo che è stata una follia, ma una scelta assolutamente illogica sì. E’ finito al Villareal, non al Real Madrid o al Manchester, poi si vedevano squadre che si svenavano per comprare un buon attaccante, avendone solo tre in rosa. Se noi per primi non crediamo nei giovani migliori… Ma da qui a garantire il posto fisso o stabile per regolamento che ci debba essere un certo numero di italiani ne passa”. Perché il suo Perugia era così esterofilo? “Era una necessità, era fatto per sopravvivere. Bisognava battere strade alternative, andare a pescare i giocatori in Equador, Corea, piuttosto che Iran. Non potevamo competere con certe cifre, ma oltre che all’estero si andava anche in serie C. E da lì è arrivata gente tipo Baiocco, Liverani e Grosso, che è diventato campione del mondo. Come Materassi, un altro che giocava nel Perugia”. La morale, quindi, qual è? “Non è vero che solo con squadre piene di italiani si crea una nazionale vincente: oltre all’esempio dell’Italia nel 2006 c’è quello della Spagna. Sono diventati campioni d’Europa perché i talenti sono venuti fuori lo stesso anche in un campionato nel quale imperversano gli stranieri. Quando uno è bravo alla lunga il posto lo trova sempre. Giovane o vecchio che sia”. In Lega Pro (la ex serie C) si è deciso di mettere un tetto agli over 22. Può essere una strada? “Con questo risultato si discriminano per l’età calciatori di 23-24 anni che magari rimangono senza squadra. Una strada del genere era stata seguita gia nei Dilettanti, ma ha poco senso. Se io sono una società e mi iscrivo a un campionato, devo poter allestire la migliore squadra possibile. Mettendo tutti ragazzi di 19 anni ma anche tutti di 40 anni, se lo ritengo giusto. Lo ripeto, si deve lavorare sui vivai e fare programmazione. Per un certo tempo c’era un limite per gli extracomunitari, poi è stato tolto, poi è cambiata di nuovo la norma”. Condividi