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Come avrebbe detto Totò, sono tempi di vacche magre. In pochissimo tempo gli Stati Uniti sono stati colpiti simultaneamente da tre bordate come il caro petrolio, il crollo della Borsa e la crisi dei mutui subprime: la recessione sembra dietro l’angolo, così come lo spettro della stagflazione (il cocktail micidiale di stagnazione più inflazione). L’Europa, nonostante stia facendo registrare un alto tasso d’inflazione, tiene botta grazie al grande apprezzamento dell’euro sul dollaro. A proposito, tutti quelli che hanno messo in conto all’euro anche la colpa delle guerre puniche e del buco dell’ozono, che fine hanno fatto? Hanno mai provato ad immaginare cosa sarebbe successo in un paese come l’Italia con il barile a 150 dollari senza lo scudo dell’euro? Rispetto all’Europa l’Italia però è messa peggio perché viene da quindici anni di stagnazione dove il reddito pro-capite è sceso sotto non solo la media dell’Unione europea a 15, ma anche dell’UE19, che include Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. In più i salari sono piatti come una tavola e, al momento, uno stipendio italiano viene pagato in media il 30-40 per cento in meno che in Francia e Germania. Come chicca finale, va aggiunta la quasi totale mancanza di un paracadute sociale che protegga in caso, ad esempio, di perdita del lavoro. In questo quadro desolante l’aumento dei prezzi di prima necessità è una mazzata che va ad abbattersi sui portafogli delle famiglie, in special modo su quelle che dipendono da un reddito fisso. In una situazione del genere servirebbe innanzitutto una riduzione della pressione fiscale sul lavoro. Il governo, però, ha fatto tutt’altro e con la manovra triennale da poco approvata la pressione fiscale, dati alla mano, aumenterà dal 43 al 43,2 per cento. Con buona pace di tutti gli elettori che avevano creduto ad una vigorosa sforbiciata per dare ossigeno ad una domanda in fase calante. Quegli stessi elettori sui quali si sta abbattendo la crisi non della quarta, ma della terza settimana. Quelli che cominciano a pensare se comprare o meno la pasta e il pane. Prova provata sono le miriadi di iniziative messe in campo dalla grande distribuzione alimentare, costrette a incrociare la legittima ricerca del profitto con un periodo di forte flessione della domanda. Il governo dovrebbe cominciare a rassicurare questi elettori, a smetterla di annunciare che questa è la vigilia di un nuovo 1929 (ma qualcuno di loro ha mai visto cosa fosse realmente il ’29, la Grande Depressione con le sue scene di disperazione e gli imprenditori che si uccidevano a manciate?). E’ meglio smetterla perché l’economia, giova ricordarlo, specialmente in periodi del genere annusa l’aria e si nutre di aspettative. Il rischio altrimenti è quello di trasformare un fantasma in carne e sangue. In special modo carne e sangue dei consumatori. Condividi