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Altri caduti, oggi, su quel campo di battaglia che è diventato il mondo del lavoro, in Italia. Altri morti ai quali si riservano lacrime di coccodrillo da parte del Palazzo. “Omicidi bianchi”, si usa chiamarli con un eufemismo ipocrita. Altri morti di quell’esercito silenzioso e paziente, fin troppo paziente, che esce di casa al mattino e che non sa se vi farà ritorno la sera. Eppure, la nostra Costituzione, la più bella del mondo, dichiara fin dalle prime parole che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Mi ero promesso, giorni fa, di ritornare su questo argomento, a proposito del “programma di governo” proposto dal Cantiere, quel programma di soli 54 articoli, non ancora attuato, che racchiudono impegni, prassi e speranze della nostra gente. Ma proprio rileggendo e meditando il primo articolo, scopriamo la prima delle menzogne che si insinuano anche negli altri 53. In nome della creazione di posti di lavoro, si scarica sull’ambiente una mole di costi sociali sempre crescenti. Spesso, i posti di lavoro nelle industrie e attività connesse si rivelano speranze vane e ancor più spesso creano costi sociali a carico della collettività (anche e soprattutto di chi non partecipa al banchetto) e degli stessi lavoratori che si guadagnano il pane, pagandolo con catene vergognose e criminali di vittime, proprio in quelle fabbriche e cantieri che dovrebbero essere sviluppo, progresso, liberazione dal bisogno, dignità e rispetto dei lavoratori. Di lavoro ci si ammala. Di lavoro si muore. E anche oggi piangiamo altri compagni, cinque lavoratori, a Venezia, a Valenza, a Vignola, alla FIAT di Melfi e a Cecchina. E il sesto alla Thyssen Krupp di Torino. Prima di domani ne piangeremo altri e ogni giorno che verrà ne piangeremo ancora, alla media (evviva le statistiche!) di quattro al giorno. Fino a quando? E lasciatemi gridare uno sfogo: io sono stufo di vedere il Presidente della Repubblica partecipare commosso alle esequie di tutti i militari caduti su fronti di guerra lontani non soltanto dalla Patria, ma anche dal comune sentire del popolo italiano e, soprattutto, dei lavoratori. Sono stufo di sentire più o meno commosse parole di circostanza, e dichiarazioni di buoni propositi, quando accadono le tragedie più cruente sul lavoro. Vorrei vedere una volta, una volta soltanto, anche soltanto a carattere simbolico, il nostro Presidente (che viene da una grande tradizione politica), partecipare al funerale di stato di un lavoratore, uno a caso in rappresentanza di tutti, con i suoi bravi corazzieri e, sulla bara coperta dal Tricolore, una corona recante una semplice scritta: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. E’ chiedere troppo, signor Presidente? E’ chiedere troppo che si onorino, almeno una volta, collettivamente (dato che la strage è continua e onnipresente) i caduti sul lavoro con gli stessi “rituali” riservati ai caduti in guerra? Un italiano in divisa è migliore di un italiano in tuta? Gli orfani e le vedove non piangono forse lacrime anche più amare? E’ chiedere troppo, magari alla Commissione di Vigilanza RAI, che si suggerisca a una di quelle trasmissioni servili, tipo “Porta a Porta”, di scavare nella disperazione di una famiglia colpita da una tragedia del lavoro, con la stessa accanita professionalità con cui si scava nei fattacci di cronaca nera? E’ il lavoro, si dice. E questi accidenti sono “disgrazie”, quasi un prezzo da pagare ai miti scellerati del PIL e della competitività: sono stragi, invece. Non siamo contro il lavoro, perché “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, per l’appunto. Fondata sul lavoro, non sulle stragi di lavoratori, non sul comparaggio e l’intrallazzo, nè su precariato, schiavismo, caporalato, sfruttamento, voto di scambio, sfacciata umiliazione delle professionalità, dignità umana calpestata. Sul lavoro e non sullo scempio dei beni comuni e sul pericolo per la salute dei singoli e della collettività, sui sacrifici scaricati alle nuove generazioni, sui surrogati del lavoro che piacciono a “lorsignori”, i cosiddetti riformatori, gli “sviluppisti” propugnatori entusiasti della famigerata e devastante Legge 30. Ma noi siamo di Sinistra: perciò siamo contro il lavoro che uccide e distrugge, perché non è lavoro, ma sfruttamento e vandalismo, prova di irresponsabilità della classe politica, di qualunque colore, se lo tollera. E’ bene che quella che auspichiamo sia la futura classe politica di Sinistra del nostro Paese si faccia carico di questi principi. Parliamo, giustamente, di centralità del lavoro nella società: diamocelo come obiettivo strategico e primario, perché già dal primo articolo della Legge fondamentale dello Stato Italiano questo principio è ancora colpevolmente assente. Altro che lacrime di coccodrillo. Presidente Napolitano, in nome della Costituzione della quale Lei è il garante, renda onori di Stato almeno a un lavoratore. Lei è il Presidente anche degli operai. Condividi