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Riceviamo e pubblichiamo il testo della minoranza di Rifondazione Comunista "Essere Comunisti" che boccia la nascita di un eventuale partito unico della Sinistra e degli Ambientalisti. Pubblichiamo, anche se in puro dissenso sui contenuti, perchè convinti che anche questa minoranza possa capire quanto si starà bene, larghi e vincenti (in qualsiasi posizione ci si vorrà mettere) nella vera Sinistra-L'arcobaleno. ********* Un Comitato politico nazionale, quello di Rifondazione comunista tenutosi nella giornata di domenica, che ha cristallizzato formalmente la spaccatura all'interno del partito, con la minoranza di Essere Comunisti che ha ufficialmente sancito la propria posizione di dissenso rispetto al gruppo dirigente. Un redde rationem che ha però stabilito, con l'85% dei voti favorevoli, lo slittamento del VII Congresso Nazionale e l'indizione di una consultazione fra gli iscritti e le iscritte in merito alla verifica programmatica su cui il Prc ha impegnato il governo entro gennaio. Proprio su questi temi, la corrente ha fatto sentire la sua voce critica nel tentativo di porre un limite a quella che a suo avviso si sta caratterizzando progressivamente come una strada pericolosa, intrapresa da una leadership del partito sempre più convinta, a detta di Claudio Grassi e Alberto Burgio, della necessità di superare Rifondazione: di fatto, secondo i due esponenti dell' area, i prodromi per la nascita di una formazione unitaria che proprio non va giù a questa come ad altre minoranze interne. Consultazione vera della base sull'azione dell'esecutivo, dopo una nuova scaletta programmatica che dovrà essere messa a punto all'inizio del nuovo anno nel faccia a faccia definitivo fra sinistra e Romano Prodi; e un rinvio del Congresso per il tempo strettamente necessario a svolgere il referendum fra gli iscritti e le iscritte, senza farlo diventare un alibi per guadagnare margini di manovra a vantaggio di un nuovo partito unico, sulla cui eventualità solo un'assise congressuale potrebbe esprimersi. Sono state queste le condizioni poste dal gruppo di Grassi e Burgio alla maggioranza di Franco Giordano, oltre alla presentazione di due emendamenti, entrambi poi bocciati, che tentavano di raddrizzare le "storture" del documento finale avanzato dalla segreteria e votato a maggioranza dal Cnp. Stop chiaro ad ogni ipotesi di un partito unico, laddove il testo al contrario afferma la necessità di "imprimere una accelerazione senza la quale gli impegni assunti rischierebbero di rimane sulla carta". Qui la minoranza, con il suo emendamento, ha infatti dato il via libera al processo di costruzione del soggetto unitario e plurale della Sinistra, escludendo però "lo scioglimento dei partiti che concorrono alla sua realizzazione". Stop anche alle liste uniche che il segretario Franco Giordano, con la sua relazione, ha richiesto in occasione delle prossime elezioni regionali e amministrative. A questo proposito l'emendamento di Essere Comunisti, comunque non accolto, poneva tre pregiudiziali: che le liste uniche si fondassero su "convergenze programmatiche"; che "vi sia l'accordo delle quattro forze politiche", quindi senza diserzioni dell'ultima ora (come in verità già lasciano intuire PdCi e Verdi); e che la sovranità in materia venisse comunque accordata, come vuole lo Statuto, agli organismi territoriali del partito. Posizioni che però non hanno incontrato il favore di Rifondazione, ma che comunque testimoniano la pluralità discordante che sta caratterizzando negli ultimi mesi in modo crescente la vita del partito. Una dinamica sintetizzata e spiegata anche dagli interventi, durante il Comitato politico, di Grassi come di Burgio. Con il primo che è partito dal Protocollo sul welfare indicandolo come emblema del fallimento di una "politica di discontinuità" promessa da Prodi, come un colpo inferto alla manifestazione del 20 ottobre e ai movimenti. Con un attacco a Bertinotti che, seppur lucido nella valutazione data sull'esecutivo come dimostrato nell'intervista a Repubblica, ha però glissato sulle responsabilità personali in esso giocate, così come su quelle che hanno portato alle "gravi difficoltà in cui versa il nostro partito" e che sono "figlie delle sue scelte". "Che fare?", è stata la domanda di leniniana memoria che ha posto al Comitato. Chiaro: bisogna ristabilire "una intesa programmatica con il governo", altrimenti "noi siamo fuori dalla maggioranza", partendo dalla consultazione dei tesserati/e e dalla verifica di gennaio. In fondo anche Giordano, come ha ricordato Grassi riferendosi alla dichiarazione di voto del segretario, ha votato il Protocollo non per un vincolo di coalizione, bensì per responsabilità verso l'elettorato, cioè per evitare l'abbattimento della mannaia Maroni sul corpo sociale. Sul processo unitario della Sinistra nato l'8 e il 9 dicembre, Grassi spinge a difendere l'identità di Rifondazione partendo da una evidenza empirica: tra le forze partitiche rimangono "differenze programmatiche" che non possono essere rimosse, come dimostra la Carta degli intenti uscita dagli Stati Generali, troppo generica e ambigua. Quindi no a liste uniche che sarebbero, proprio in virtù di questa discrasia programmatica, "una forzatura inaccettabile e politicistica", e che porterebbero a mettere insieme partiti che poi, per esempio in Europa, farebbero riferimento "addirittura a tre diversi gruppi, quello verde, quello socialista, quello comunista". Un tema scivoloso, visto che su questo è stato abbondantemente criticato anche il Pd di Veltroni, con i piedi ancora sospesi in due staffe, il Pse e i liberali. Anche per Burgio la questione rimane aperta. Con l'attuale sistema elettorale, ma anche tenendo conto dell'esperienza passata, le liste uniche "hanno prodotto risultati molto negativi per il nostro Partito". Per non parlare del dato che insistere su questo fronte, come fatto secondo lui dalla dirigenza del Prc, significa "legittimare il dubbio che ci si muova oggettivamente verso l'obiettivo che si nega a parole, e cioè il superamento del partito per la costruzione di un altro". Troppe le lontananze tra Prc, PdCi, Verdi e Sd per tentare di obliarle nell'unità elettorale: tesseramento (non condiviso da tutti) e riforma del voto sono ancora scogli che vanno superati. Insomma, il "Riflettete bene compagni" invocato dalle minoranze è stato pronunciato a gran voce, anche se dal punto di vista numerico non è stato accolto. Ora l'appuntamento definitivo per fare i conti con il dissenso sarà il Congresso, ma prima ancora il referendum della base sulla verifica con Prodi. Condividi