simbolo-rifondazione.jpg
Di Alfonso Gianni Da qualche giorno dentro Rifondazione sembra che si cominci a respirare un'aria nuova. Finalmente la politica pare riprendere il sopravvento sulle dispute numeriche e pseudoregolamentari. Ne sono segno evidente gli articoli pubblicati su questo giornale - tra quelli che mi sono parsi più significativi - da Nichi Vendola a Gennaro Migliore e Claudio Grassi. Vorrei soffermarmi su quest'ultimo, non solo perché è il più recente, ma perché più distante da quello che penso. Il quadro che Grassi tratteggia a una settimana dall'inizio del congresso nazionale è condivisibile, fatto salvo per annullamenti di voti e congressi che considero del tutto inammissibili e frutto di una concezione pericolosa della gestione del partito. Non si può fermare la forza poetica di Majakovskij sulla soglia del 49,9%. Ma su questo torneremo quando si potrà. In ogni caso mi pare che non si modificherà il dato che la mozione 2 non raggiunge la maggioranza assoluta. Altra cosa è invece cercare di estrapolare dalla distribuzione del voto considerazioni politiche sullo stato del partito. Quelle cui sembra alludere Grassi potrebbero essere del tutto rovesciate, a favore della maggiore vitalità di alcune situazioni rispetto ad altre e in ogni caso abbiamo sempre detto che i voti si contano non si pesano, a differenza delle azioni di borsa. Se quindi questo congresso, il livello e le modalità del dibattito, la distribuzione dei voti sono motivo di conoscenza e di riflessione ben più di una semplice inchiesta condotta su questionari - peraltro utilissima- è soprattutto vero che non si può fare il conteggio delle federazioni e dei circoli per capovolgere il rapporto tra le mozioni stesse, a meno di non avere già introiettato una concezione federata della nostra organizzazione. Il primo punto su cui Grassi sorvola è proprio questo. La mozione 2 non ha la maggioranza assoluta ma ha quella relativa, e assai nettamente, in base agli stessi numeri che egli riporta. Questa maggioranza si manifesta in una proposta chiara, quella di un processo costituente della sinistra, da condursi dal basso e dall'alto, contemporaneamente alla costruzione dell'opposizione politica e sociale al governo Berlusconi, con modalità e tempi che devono e possono essere ulteriormente precisati nei documenti finali del congresso nazionale. A questa scelta si contrappongono opzioni diverse, ma tra loro divergenti. Scusate la sintesi, che toglie sempre qualcosa a qualcuno, ma si va dall'idea della Rifondazione per ora e per sempre, alla costituente comunista, al partito operaio, fino a quello che sospende ogni decisione affidandosi a due portavoce. Allo stato dei fatti queste proposte sono divergenti tra loro, al massimo costituiscono un fronte del no di dubbia tenuta, ma non indicano al partito nessuna strada. Pensare di cavarsela con l'azzeramento degli orologi, con un ritorno allo "spirito di Carrara", mettendo tra parentesi lo tsunami che ci ha travolto, mi sembra un esercizio da moviola. Il nostro congresso deve concludersi con una proposta in positivo, indicando una strada chiara su cui ricominciare a camminare. Se le altre mozioni sono in grado di indicarla lo dicano. Finora, da parte loro, non ho udito nulla al riguardo. Il nodo della costituente di sinistra non può essere eluso. Non si tratta solo di opposizione a Berlusconi o di elezioni europee (peraltro non c'è solo questo nel nostro immediato futuro). Per fare opposizione bisogna avere delle posizioni. Qui sta la critica alla manifestazione indetta da Di Pietro. Non siamo nel 1905 in Russia, dove anche i rivoluzionari, se volevano palesarsi alle grandi masse, dovevano frequentare i cortei del pope Gapon. Oggi si può decidere a quale manifestazione andare in relazione al significato politico che essa assume, non solo per la quantità di gente che ci va. E senza per questo considerarla nemica. Ma quella Piazza Navona ha dimostrato che non si può combattere il berlusconismo con le sue stesse armi. Alla brutalità del potere non si può contrapporre la degradazione diffusa. Non averlo capito neppure a posteriori è davvero inquietante. Le elezioni europee non possono essere affrontate solo sotto il profilo della ricerca della rivincita contro il governo o dell'identità smarrita. Sarebbe un imperdonabile errore di provincialismo. Esse ci pongono invece una grande questione, dopo la bocciatura irlandese del trattato costituzionale: se il rifiuto di questa Europa si colloca su una deriva di antieuropeismo qualunquista o se invece è possibile costruire una critica di massa e di sinistra all'attuale modello mercantile dell'Europa. Noi, che facciamo parte del Partito della Sinistra europea, non possiamo impostare questo inderogabile appuntamento in chiave casalinga. La scelta di avviare un processo costituente della sinistra è quindi prevalsa rispetto alle altre in contraddizione tra loro. Si badi bene, si tratta di un processo, che presuppone un percorso e più passaggi, non un solo atto costituente e tantomeno una fusione a freddo. E' una proposta, quindi, in grado di raccogliere anche le preoccupazioni di chi, memore del modo forzosamente affrettato con cui si è costruito il cartello elettorale della Sinistra arcobaleno, vuole giustamente evitare di cadere dalla padella nella brace. Ai sostenitori di questa proposta spetta perciò, a Chianciano, di formulare una linea di azione e di gestione del partito coerente con questa scelta. In questo quadro va esercitata la tensione unitaria che tutti ci anima. Chi, viceversa, rifiuta questa prospettiva ha il dovere, verso il partito, di elaborare una proposta alternativa in positivo. Una, non quattro. Il tempo è poco, quindi conviene concentrarsi su questo. L'unica cosa che non si può fare è chiudere il congresso senza indicare una soluzione. In questo modo prevarrebbe la preoccupazione che condivido con il compagno Grassi, cioè che il congresso si trasformi in una contesa distruttiva. Condividi