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Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul miserevole stato dei lavoratori italiani rispetto ai loro colleghi dei Paesi più industrializzati del mondo ci ha pensato l’Ocse a spazzare via ogni titubanza al riguardo. Nell’ultimo rapporto diramato da questo importantissimo organismo internazionale sta infatti scritto a chiare lettere che le retribuzioni in Italia sono inferiori del 20% rispetto alla media dei Paesi aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, differenza che sale addirittura al 22% se il raffronto lo si fa sul potere d’acquisto. Ma non finisce qui, perché sempre l’Ocse ci spiega che le nostre retribuzioni sono inferiori alle altre non certo perché da noi si lavora di meno, anzi. In fatti nel 2007 i lavoratori italiani hanno lavorato in media per 1.824 ore, con un incremento del 10% sul 2006 e 30 ore in più rispetto alla media Ocse. Abbiamo, dunque, che da un lato i lavoratori italiani guadagnano meno dei loro colleghi dei Paesi più industrializzati del mondo, e dall’altro lavorato più di questi. Oddio, se noi piangiamo, gli altri non possono comunque sorridere: staranno un tantino meglio di noi, è innegabile, ma anche le loro retribuzioni non sono un granché. Colpa dello squilibrio sempre più accentuato che si è creato nel mondo fra salari e profitti, con i primi che hanno ceduto ai secondi, in un quarto di secolo, circa l’8% del pil globale prodotto. Una enormità, considerato anche che fra i lavoratori dipendenti fanno parte anche i cosiddetti “supermanager” che mettono insieme ogni anno delle vere e proprie fortune. Basti pensare che i primi cinque “cervelloni” italiani ricevono in un anno compensi pari a quelli di 5.000 lavoratori “normali”. Se al Pil destinato alle retribuzioni togliamo, quindi, la parte che spetta a questi fortunati manager, quanto resta per gli altri si riduce ancora di più. E la cosa è ormai così palese che se n’è accorto perfino il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che proprio ieri ha fatto la scoperta del secolo: “Stipendi e salari perdono potere d’acquisto e i risparmi sono minacciati”, ha detto intervenendo in uno dei tanti convegni nel corso dei quali lor signori si dilettano di monetarismo e di inflazione”. E lo ha detto fortemente allarmato per il fatto che proseguendo di questo passo c’è il rischio di uccidere la “gallina dalle uova d’oro”, quella, insomma, che con il suo lavoro crea la ricchezza per tutti e che, se non avrà di che spendere non potrà neppure ricomprare una parte sufficiente del ben di Dio che produce, con grave nocumento per le imprese. Tanto più se si considerano le speculazioni di lor signori sulle materie prima (non solo i carburanti) che producono continui rincari dei prezzi e fanno salire l’inflazione alle stelle. La corda è ormai così tesa che pare sia ormai prossima a spezzarsi e ad aumentare questa tensione ci si è messa la proposta del governo Berlusconi di indicare l’inflazione programmata all’1,7%, ovvero assai meno della metà rispetto a quella reale che a fine giugno era salita al 3,8%. Se questo inganno ai danni dei lavoratori non verrà respinto, vorrà dire che gli incrementi retributivi ottenuti con i prossimi rinnovi contrattuali saranno a perdere perché quanto finirà nella busta paga sarà la classica goccia d’acqua in un mare di disperazione. Figuriamoci, poi, per i pensionati e per quelle categorie che da lungo tempo lottano vanamente per ottenere il rinnovo del loro contratto di lavoro: per loro la perdita sarà ancora più netta, visto che da oltre un ventennio ormai siamo stati privati del solo meccanismo che in qualche misura salvaguardava le nostre retribuzioni, la “scala mobile”. Tutto questo mentre l’omino dei miracoli, che ci aveva assicurato di occuparsi delle nostre miserie quotidiane, ha la mente occupata dall’ossessione di sempre: come mettersi al riparo dalla Giustizia che non gli dà tregua. Condividi