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di Isabella Rossi Donna, laureata e precaria. E’ un inizio che assomiglia più allo slogan di una generazione. Lo si potrebbe tradurre in un rap tormentone per l’estate, ridurlo ad una stanca litania o sistemarvisi comodamente dentro, come in un sacco a pelo che assicura il massimo calore impedendo ogni movimento. E invece no. Dopo 10 anni di conservatorio, diversi corsi di specializzazione e vasta esperienza accumulata sul campo dell’insegnamento niente rassegnazione ma nemmeno certezze per un’insegnante di musica di 39 anni che chiede di rimanere anonima. L’ultimo concorso a cattedra, ricorda, è stato nel 1990. Da allora collaborazioni a progetto per enti pubblici o prestazioni occasionali, qualche volta anche in nero, per scuole private. Fino a che il titolo, conquistato con grande dedizione, è stato declassato con la riforma universitaria. Il nuovo ordinamento prevede, infatti, che le vecchie lauree vengano equiparate al primo livello. Per lei, come per tanti altri insegnanti di musica, un vero shock. “Ci è stato richiesto di iscriverci all’università. A questo scopo sono stati aperti corsi di didattica per la musica nelle università, ma non tutti hanno avuto il tempo e denaro per frequentarli. Per chi ha conseguito una laurea a prezzo di duri sacrifici vedersela declassare è veramente intollerabile.” Dice in un soffio. E la delusione cocente è ancora palpabile. Con i titoli conseguiti non ci sono colleghi che abbiano provato a lavorare all’estero? “So che alcuni miei colleghi sono andati in Germania a lavorare in scuole che sono l’equivalente delle nostre scuole civiche. Gli stipendi sono buoni, le condizioni migliori. Non sono più tornati.” Lei, invece, è rimasta, con tutte le conseguenze che ne sono derivate. Come viene pagata? “Mi pagano a fine progetto, quindi a fine anno scolastico. Avere pagamenti trimestrali non è sempre possibile, dipende dalla buona volontà degli amministratori. Non sono tutelata da niente e nessuno. Come co.co.pro di fatto non ho potere contrattuale e devo adeguarmi a ciò che mi viene offerto, se voglio lavorare. Quando si parla di precariato si pensa solo ai call center ma ci sono tante professionalità di alto livello di cui non si parla.” Di fatto il progetto che le è stato affidato è uno dei più delicati: educare alla musica in un paese dove musica ed educazione fisica sono materie curriculari. Come viene remunerato il tempo lavorativo? “Il mio progetto” dice “richiede il raggiungimento di obbiettivi concreti, come preparare un concerto. Le mie ore di lavoro, allora, raddoppiano.” Il grado di soddisfazione dei presidi e dei genitori, ovviamente, si misura sui risultati. “Io sinora ho sempre avuto consensi da parte degli enti con cui ho collaborato. E nonostante il lavoro in più non mi venga pagato, l’ho sempre portato avanti con passione, cercando di rendermi indispensabile a prezzo di rinunce e sacrifici. L’unico modo per sperare di venire nominata nuovamente.” Se la stabilità economica e lavorativa è fondamentale per le donne come per gli uomini, ci sono momenti in cui nella vita delle donne gioca un ruolo determinante. “Come vive la maternità un’insegnante precaria?” “Fare bambini in Italia è un lusso.” Afferma lei che a 39 anni e al sesto mese della seconda gravidanza è gia madre di un bambino. “Sono sposata da dieci anni e se non ci fosse stato il reddito di mio marito con il mio stipendio riuscirei a malapena a mantenere un figlio.” E’ un dato di fatto che la maternità, in Italia, richiede alle donne un vincolo di dipendenza da un altro reddito, che sia quello di un marito o di un genitore. “Quando entrerò in maternità sarò disoccupata. I contratti si firmano a settembre e durano un anno scolastico. Sebbene la legge 30 preveda malattia e maternità, di fatto non si può applicare al mio contratto perché scade a giungo. Per poter usufruire della maternità dovrebbe scadere a dicembre. Anche per il conteggio dei contributi non è così semplice. I contributi, mi avevano detto esprimendo margini di dubbio, si conteggiano con l’anno solare partendo da gennaio per poter concorrere al raggiungimento di un tetto minimo. Così nei primi mesi di gravidanza, pur con disagi, sono stata costretta ad andare a lavorare. Quando partorirò il mio contratto sarà già scaduto. I miei datori di lavoro non possono aspettare devono procedere ad altra nomina. Ciononostante mi sento fiduciosa. Sono sempre stata apprezzata nel mio lavoro.” Che importanza ha il lavoro per lei? “E’ importante, significa non dover dipendere da nessuno. E’un nutrimento al quale non rinuncerei mai, dato che faccio proprio il lavoro che mi piace.” Condividi