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di Oscar Monaco Funziona così: “Dimmi quello che vuoi, ma non pensare all’elefante! Qualsiasi cosa ti venga in mente, ma non pensare all’elefante! Esprimiti liberamente, ma non devi pensare all’elefante! Parla di tutto ciò che ritieni, però evita accuratamente di pensare all’elefante!”. Tempo un minuto e lo sfortunato interlocutore starà pensando solo all’elefante! Ora, l’esempio sarà un tantino rudimentale, ma mi sembrava esagerato tirare in ballo l’analisi dei totalitarismi di Annah Arendt, così partirò da questo: io non gioco al gioco dell’elefante! Quindi “bypasso” totalmente la parte del “veramente io non sarei un veterocomunista stalinista (da scompisciarsi) identitario chiuso nei recinti! Ma tu invece vuoi sciogliere il partito e fare la rifondazione diessina e anticomunista!” All’indomani del cataclisma elettorale, ancora intenti a leccarci le ferite, parlando con un compagno che esprimeva posizioni differenti dalle mie, chiesi per favore di non battezzare il confronto come una diatriba tra “liquidazionisti” e “conservatori”, impegnati a guardarsi l’ombelico mentre intorno a noi succede ad esempio che un tizio vagamente fascista liberi l’esercito per le strade delle nostre città. Invito gentilmente declinato e giù botte (dialetticamente parlando…) È andata così, sta andando tristemente così. Francamente non mi ritengo un nostalgico del comunismo, un feticista dei simboli o peggio degli steccati, e per una volta la carta di identità mi torna utile, dal momento che nei giorni della Bolognina ero uno spensierato bambino di sette anni. Penso tuttavia che un Partito lungi dall’essere un’ostia consacrata, sia un mezzo utile a raggiungere un obbiettivo e che nonostante l’idea di superamento sia fondante del pensiero marxista, tale superamento debba avvenire sulla spinta del famoso movimento reale (di massa) e non delle burocrazie partitiche, e nella mia fantasia di romantico idealista un movimento reale di massa non fa il 3%. Nessuno si iscrive ad un partito, ad una associazione riconoscendocisi completamente, calzandola come un vestito cucito addosso, al più c’è una traccia, un prevalente. Sostengo il documento avente come primo firmatario Maurizio Acerbo, perché è l’unico a “mettere qualcosa in mezzo al pane”, non sarà prosciutto dop di Parma, ma, fosse anche salame casareccio, almeno propone soluzioni pratiche a problemi reali. La traduco così: fare società a partire dai luoghi fisici e dalle persone in carne ed ossa che “società” (come socialità, mutualismo e conflitto) la fanno veramente tutti i giorni. Da quei militanti sociali orfani di un partito che li rappresenti. Credo che il primo documento abbia il pregio di andare oltre la pura declinazione retorica della cosiddetta “sinistra diffusa”, ma individui i soggetti reali di riferimento nelle loro “condizioni naturali” e tenti di elaborare un “piano di lavoro”, di mettere a disposizione la proprie strutture, i propri mezzi e la propria storia, mettendo in rete le capacità, le competenze, i lavori concreti, senza chiedere a nessuno di sciogliersi in un nuovo soggetto politico che di per se sarebbe escludente, e quindi condannato al minoritarismo. Inoltre trovo piuttosto arrogante la retorica del “con chi ci sta”. Ma come? Non volevamo unirla questa sinistra? Con una modalità del genere rischiamo di dividerla su basi ideologiche! La sinistra politica ha perso, credo, soprattutto perché ha dissolto, in un lungo processo storico, i suoi legami sociali. Siamo andati per le strade come animalisti che chiedevano di salvare una specie già estinta. Ora si tratta di rimboccarsi le maniche e ripartire dalla ricostruzione sociale della sinistra, che precede ontologicamente la sua costruzione politica. Non con chi ci sta, ma con chi lavora, che è piuttosto differente. Con un processo costituente non si farebbe altro che perseverare su un errore di fondo, quello di anteporre il contenitore ai contenuti, deviando preziosissime energie verso una asfittica contesa sulle forme. Condividi