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Ci sono dei dati, nel rapporto della Cgil sui diritti che gridano veramente allo scandalo poiché fotografano lo stato di un Paese sempre più povero e contrassegnato da profonde ingiustizie. Ne elenchiamo alcuni fra i più significativi: - 2 milioni e mezzo di famiglie (ovvero 7,5 milioni di italiani), possono essere definite povere ed assieme a loro si incrementa il numero di quanti, passata la terza settimana, non arrivano a fine mese. - Negli ultimi 6 anni i salari dei lavoratori italiani hanno perso potere d’acquisto per circa 7mila 700 euro, tanto che oggi la nostra retribuzione media annua è di appena 13mila euro, tra le più basse in Europa (al 23° posto su 30 secondo l’Ocse e mangiata in gran parte dall’inflazione. - Nel 2007 le nostre retribuzioni sono cresciute del 2,5%, vale a dire un punto in meno dell’inflazione che a marzo era del 3,5%. - Il 28,4% degli italiani non riesce a far fronte ad una spesa imprevista di 600 euro; il 9,3% non ha il denaro sufficiente per pagare le bollette; il 10,4% non riesce a riscaldare a sufficienza la propria abitazione. - Appena il 13,6% delle famiglie italiane riesce a mettere da parte qualche risparmio, contro 25,8% del 2006 e il 27,9% del 2005. - Sono 3 milioni (ma la stima è per difetto, perché questa cifra sale a 3,9 milioni secondo altre valutazioni) i lavoratori impiegati con contratti precari o genericamente flessibili. - Di contro fra il 2003 e il 2007 abbiamo avuto nel nostro Paese ben 5.252 morti sul lavoro, più di 1.000 ogni anno, un dato impressionante se si considera che in Iraq i morti della coalizione sono stati nello stesso periodo 3.520. Ma c’è un dato che ci ha indignato più di ogni altro, ovvero che i primi 5 supermanager italiani riescono a mettere insieme qualcosa come 102 milioni di euro all’anno, una cifra spaventosa che equivale al salario lordo di circa 5 mila operai. Se la matematica non è un opinione, ciò vuol dire che mediamente ognuno di questi grandi “cervelloni” si mette in tasca l’equivalente di quanto riescono a riportare a casa tutti insieme 1.000 lavoratori. E sapete perché ricevono dai loro datori di lavoro questi fantasmagorici compensi? Perché riescono ad assicurare loro utili sempre più elevati e non importa se per fare questo promuovono ristrutturazioni aziendali che buttano cinicamente sul lastrico schiere di lavoratori. Ultimo caso in ordine di tempo, quello della Telecom, il cui piano industriale prevede 5.000 esuberi. Ora, per migliorare le retribuzioni dei lavoratori, anziché aumentarle tout court come sarebbe logico (lo stesso dicasi per le pensioni), hanno pensato bene di detassare gli straordinari, così che per mettere qualcosa in più sulla busta paga saranno costretti a stare più tempo in fabbrica o negli uffici, con le conseguenze che sono prevedibili anche in fatto di sicurezza sul lavoro, visto che la stanchezza e il fattore che più aumenta il rischio di incidenti. Una realtà tragica, questa, da tenere ben presente dopo la giornata assai infausta di ieri quando ben 10 lavoratori italiani hanno perso la vita: 6 abbracciati in un depuratore in Sicilia, altri 4 in altrettanti cantieri sparsi per il Bel Paese. Una bella operazione, quella della detassazione degli straordinari, dunque, tanto più che è interamente a costo zero per i datori di lavoro poiché l’onere se lo assumerà interamente lo Stato che rinuncia alla parte che era a lui dovuta. Anzi, i datori di lavoro saranno alla fin fine gli unici che da questa trovata ci guadagneranno, in termini di produttività del lavoro. Oltre tutto, ad insistere su questa strada ci si è messa anche l’Unione Europea, visto che i rappresentanti dei 27 Stati membri che si sono appena incontrati Bruxelles hanno detto che si può lavorare fino a 60 ore alla settimana, ben inteso sottraendo tempo ai rapporti familiari, al riposo e allo svago. E che dire, poi, delle proposte per ridimensionare il contratto collettivo di lavoro? Hanno cominciato con il riproporre le famigerate “gabbie salariali” per finire con il completo superamento di questo strumento, così da affidare tutto alla contrattazione decentrata. E’ il primo passo per la cancellazione di fatto del ruolo principe del Sindacato, e che ci porta dritti dritti alla contrattazione individuale, diretta fra il datore di lavoro e il singolo dipendente, con le conseguenze che sono facilmente immaginabili laddove la forza contrattuale dei lavoratori è debole, vale a dire nelle piccole e piccolissime imprese che, guarda caso, occupano in Italia, ed ancor più in Umbria, la stragrande maggioranza dei lavoratori. Il disegno è chiaro, nel nuovo Millennio da poco iniziato si vuogliono cancellare una ad una tutte le conquiste faticosamente strappate dal movimento dei lavoratori alla fine di quello trascorso, per farci ripiombare agli inizi tragici dell’era industriale quando lo sfruttamento era feroce e i diritti all’interno dei luoghi di lavoro del tutto inesistenti. Tutto questo nel nome di un liberismo sempre più sfrenato, reso ancora più aggressivo dal ritorno di Berlusconi al governo e che il PD Veltroniano ideologicamente non riesce, e non vuole, contrastare , ma che la Sinistra, che cerca faticosamente di ricostruirsi dopo la batosta elettorale che l’ha cancellata dal Parlamento, ha il dovere di combattere nelle piazze, organizzando una potente opposizione sociale per respingere un processo che non è irreversibile. Condividi