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di Simone Collini / L’Unità «UNA SINISTRA di diverso conio», per Claudio Fava, deve saper anche raccogliere una provocazione intellettuale come quella recentemente apparsa sul sito web del Centro per la riforma dello Stato: «Forse il comunismo e la socialdemocrazia sono tradizioni politiche concluse». Dice il coordinatore di Sinistra democratica: «Io mi sento di raccoglierla. La sfida del terzo millennio è quella di riorganizzare i segni di civiltà che queste tradizioni hanno dato al nostro Paese per costruire qualcosa di nuovo». A fine mese tenete un congresso: perché se lei è stato appena eletto coordinatore e dentro Sd non ci sono diverse linee politiche? «Utilizziamo questo appuntamento, che non a caso chiamiamo assemblea, per discutere e rilanciare il progetto del cantiere di sinistra. Oggi c’è bisogno di un nuovo soggetto che rappresenti una sinistra di diverso conio, di diversa intenzione, di diversi linguaggi. È chiaro che progetto come questo ha una sua efficacia se invece di essere calato dall’alto viene costruito con una profonda condivisione e partecipazione dal basso». Che intende per diverso conio? «Ci sono stati profondi cambiamenti, mentre il nostro sguardo si è impigrito. Abbiamo continuato ad utilizzare una liturgia, nelle forme di partecipazione, nelle categorie di interpretazione e nelle parole simboliche, che parlava a un Paese che non esisteva più. Oggi c’è bisogno di una sinistra che si ripensi nei propri punti di riferimento, nelle proprie forme organizzative, nella capacità di aprirsi, di essere altro da sé, di mettere dentro finalmente quella sinistra civile diffusa, ampia, che esiste e che ha fatto la storia di questo Paese nei momenti in cui ha deciso di farla. Penso al movimento antimafia in Sicilia, agli autoconvocati di Moretti, ai tre milioni dell’articolo 18, ai movimenti pacifisti cresciuti attorno alla base Dal Molin». Con quali forze politiche pensate di portare avanti questa operazione? «In autunno si produrranno due diverse opzioni, entrambe rispettabili ma sostanzialmente inconciliabili. Una di chi sceglie di tornare nella nostalgia identitaria e farà la costituente comunista o tenterà di costruire la federazione di sinistra. E una, che è l’opzione su cui noi lavoriamo, che prevede un cantiere che produrrà un nuovo soggetto politico, capace di superare il culto dell’identità e il mito dell’autosufficienza». Così sembrano inconciliabili col processo il Pdci e i sostenitori nel Prc della mozione Ferrero: rimarrebbero una parte dei Verdi e i sostenitori della mozione Vendola... «Una sinistra nuova non può passare attraverso la somma di ciò che esiste, dobbiamo aprire un percorso di inclusione. E il voto di aprile ci dice che servono sinergie naturali, non artificiali, non pensate a tavolino. Dopodiché, mi sembra ovvio che ci sia una parte dei compagni di Rifondazione, come anche dei Verdi e perfino del Pdci, che continui a battersi per questa sinistra di nuovo conio». Che dovrebbe avere col Pd che tipo di rapporto? «Di confronto politico. Voglio togliere dal campo l’alibi di chi dovesse dirci, un domani, non si è fatto un nuovo centrosinistra perché la sinistra si è rifiutata di misurarsi su questo tema». Cosa farete quando darete vita a nuovo soggetto politico insieme a Verdi e Prc, che in Europa siedono in banchi diversi dal Pse? «Noi stiamo nella famiglia del socialismo europeo e restiamo lì. E non è un caso che Martin Schulz partecipi alla nostra assemblea. Detto questo, con i compagni del Prc e dei Verdi abbiamo prodotto al Parlamento europeo notevoli risultati, nonostante appartenessimo a famiglie politiche diverse. Oggi si pone il problema di come rielaborare le nostre appartenenze e costruire un’anima unitaria di questa nuova sinistra». Anima unitaria ma rimanendo ognuno nella propria famiglia di origine? «Se il problema è una collocazione nei banchi dell’Europarlamento, sì. Ma credo che con grande coraggio e senso laico occorre anche affrontare il problema della funzione di queste famiglie di riferimento. Un documento pubblicato sul sito del Centro di riforma dello Stato, che certo non può essere accusato di avere una lettura moderata di ciò che accade, propone una provocazione intellettuale che io mi sento di raccogliere quando dice che forse il comunismo e la socialdemocrazia sono tradizioni politiche concluse. Resta la cifra di civiltà che ha permeato la nostra storia, resta la loro cultura politica. È questo che oggi va riorganizzato per costruire qualcosa di nuovo». Condividi