Di Loris Campetti  -  Il Manifesto del 20/04/2011

Punto primo: non si tratta, si firma quel che la Fiat ha già deciso perché uno dei compiti dei sindacati consiste nella ratifica delle scelte del Lingotto, abolizione dei diritti e del contratto nazionale compresa; l'altro compito dei sindacati è fare i cani da guardia del padrone e imporre agli operai il rispetto delle nuove regole. Punto secondo: se il sindacato maggioritario che è la Fiom non aderisce si va a costruire altrove con altri lavoratori. Punto terzo: l'intero programma Fabbrica Italia potrà saltare in relazione agli «sviluppi delle azioni giudiziarie promosse dalla Fiom». Torna più cattivo che mai il Marchionne di Pomigliano e Mirafiori e prende di mira i più di 1.000 dipendenti della ex Bertone, ora rinominata Officine Automobilistiche Grugliasco.

La Fiom è l'ostacolo al lavoro e al progresso, gli operai sappiano contro chi lanciare scatenarsi se la Fiat deciderà di andare a costruire chissà dove il nuovo modello Maserati. Sulla minaccia di far saltare l'intero progetto Fabbrica Italia, e dunque sui ricorsi alla magistratura, Susanna Camusso ha risposto: «chiedetelo alla Fiom». Punto.

Ieri Sergio Marchionne ha ricevuto i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e dei metalmeccanici per comunicare decisioni già prese e ricordare che il tempo delle riflessioni è finito. I segretari hanno ascoltato e commentato brevemente: è vero, bisogna firmare subito sennò il capo si innervosisce e chissà cosa potrebbe fare. Così i leader maximi di Cisl, Uil, Fim, Uilm e Fismic (anche l'Ugl, pur non essendo chiaro se e chi rappresenti). Per la segretaria della Cgil Camusso, sull'investimento alla Bertone «dovranno decidere le Rsu. Da un lato abbiamo confermato l'interesse che si faccia l'investimento, dall'altro abbiamo chiesto che con le Rsu si arrivi a un punto che permetta ai lavoratori di decire». Certo il clima non è bello e l'incontro con Marchionne non deve essere piaciuto alla segretaria Cgil che ha aggiunto, si pensa rivolta all'Ad del Lingotto: «Ho la sensazione che una serie di scelte precedenti continuino a pesare e non ci sia la voglia di cambiare pagina».

Molto chiare le parole di Maurizio Landini, segretario generale Fiom: «Fiat è la prima azienda che esce da Confindustria e quindi non esiste più il contratto nazionale di lavoro ma quello di Pomigliano e Mirafiori. Non so se le altre organizzazioni l'abbiano capito, noi non siamo d'accordo: non abbiamo firmato a dicembre e non intendiamo firmare oggi».

La parola passa ai lavoratori, i diretti interessati, i due terzi dei quali hanno scelto di farsi rappresentare dalla Fiom con 10 Rsu su un totale di 15. E ieri, al termine del «ricevimento» dei vertici sindacali in casa Fiat, le Rsu si sono riunite per decidere il da farsi. All'unanimità, a prescindere dal giudizio delle organizzazioni d'appartenenza, hanno ribadito la decisione di sottoporre il diktat di Marchionne al giudizio e al voto dei dipendenti il 2 maggio. Chiedono anche alla Fiat di consentire ai 300 lavoratori mandati in trasferta in diversi stabilimenti italiani di essere informati e di votare.

Mentre è netta l'indicazione favorevole di Fim e Uilm e opposta a quella della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgil non dà indicazione di voto, così come era avvenuto a Pomigliano e a Melfi, perché «non si tratta di un voto libero ma di un ricatto, il solito: lavoro in cambio dei diritti individuali e sindacali, in cambio del contratto e con la «promessa» di estromettere le sigle non firmatarie dalla fabbrica negando agibilità e rappresentanza nello stabilimento di Grugliasco, così come a Pomigliano e a Mirafiori.

Il ricatto alla Bertone è ancora più grave che nelle altre fabbriche perché agito contro operai che da 6 anni sono senza lavoro (proprio ieri il ministero ha confermato il rinnovo di un anno della cassa integrazione), operai che hanno salvato la fabbrica dalla chiusura e dalle speculazioni padronali, che hanno sperato nella svolta quando la Fiat, a prezzi stracciati, ha rilevato l'azienda. Ora vengono presi a pesci in faccia da Marchionne, ma non sarebbe onesto chedere loro di votare no perché l'ha deciso il loro sindacato. Gli operai, questi operai, non sono burattini, sanno ragionare con la loro testa e saranno loro, individualmente, a decidere se ce la fanno a far prevalere la dignità calpestata o se il prezzo da pagare è troppo alto, insostenibile.

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