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Quello di Confcommercio è il classico “pianto del coccodrillo”. I dirigenti dell’organizzazione italiana più rappresentativa degli operatori del commercio si strappano i capelli e lanciano un forte grido di allarme per la continua diminuzione dei consumi nel nostro Paese: ad aprile lo 0,9% rispetto ad un anno fa. Pianto del coccodrillo perché, pur ammettendo che questo preoccupante fenomeno deriva fondamentalmente dal fatto che il reddito disponibile da parte delle famiglie italiane non cresce a sufficienza (anzi regredisce addirittura), in fondo in fondo il loro dispiacere non sta tanto nel fatto che così facendo si allarga la fascia della povertà, piuttosto che, se gli italiani consumano meno i loro profitti per forza di cose diminuiscono. Noi, da ottimisti incalliti, ci auguriamo comunque che non abbiano anche cominciato a riflettere sui danni che loro stessi hanno procurato alla grande massa dei loro “clienti”. E non ci riferiamo solo alla innegabile e vergognosa speculazione alla quale la gran parte dei commercianti partecipò nel 2002, al momento dell’introduzione dell’euro, quando nel giro di una notte o poco più raddoppiarono i prezzi delle loro merci, senza essere minimamente contrastati dal governo dell’epoca. con il primo Berlusconi imperante. La loro colpa maggiore sta nel fatto che si sono in ogni occasione schierati a favore delle misure che i vari governi che hanno sostenuto con i loro voti varavano ai danni dei lavoratori a reddito fisso e dei pensionati. Mai una volta che si siano posti a fianco dei sindacati che organizzavano la lotta per difendere i redditi minacciati di queste categoria. Senza poi tralasciare il contributo da loro dato al fenomeno dell’evasione fiscale che ha spostato sempre più sulle categorie di contribuenti svantaggiate, ovvero quelle a reddito fisso, l’onere di sostenere quei servizi pubblici dei quali, ironia della sorte, sono stati i cosiddette “lavoratori autonomi” ad usufruire più degli altri. Quante volte un operaio od un impiegato si è visto negare l’accesso all’asilo al figlio, perché il suo reddito risultava assai più elevato di quello dichiarato dal commerciante o dal libero professionista, con villa e macchinone in garage? E di esempi al riguardo ne potremmo fare all’infinito, dall’accesso alle borse di studio, a quello nei convitti universitari, all’assegnazione degli alloggi pubblici e via elencando. Ma, tornando all’argomento che più ci interessa, dobbiamo dire che per impoverire i lavoratori ed i pensionati italiani si sono date assai da fare anche altre categorie di imprenditori, in primis i nostri industriali. E l’alleanza in questo senso è stata cosi forte che, come ormai è da tutti ammesso, negli ultimi 25 anni più dell’8% del pil italiano si è spostato dalle retribuzioni ai profitti. Ora, le cause di questo vergognoso fenomeno sono molteplici, ma certamente vi ha influito la determinazione a bloccare per quanto più tempo possibile il rinnovo dei contratti di lavoro, anche quelli del commercio. Così, l’aumento della ricchezza di lor signori è andata di pari passo con l’aumento dell’indigenza dei lavoratori e delle loro famiglie. Ciò nella convinzione, quanto mai errata, che il nostro Paese potesse far fronte alla concorrenza sempre più feroce dei cosiddetti “Paesi emergenti” sui mercati internazionali, basata sul fatto che questi possono senz’altro contare su un costo della manodopera ben più basso del nostro, scendendo al loro livello, ovvero ridimensionando, fra i fattori che concorrono alla produzione, unicamente la componente del lavoro. Questo anziché puntare ad accrescere la componente tecnologica delle nostre produzioni come hanno fatto con successo altri Paesi nostri partner in Europa (la Germania innanzi tutto). Ma c’è un’altra causa che sta alla base dell’impoverimento dei lavoratori e dei pensionati italiani che dobbiamo ben considerare avendo dato un forte contributo a quello spostamento del pil nazionale a favore dei profitti al quale abbiamo fatto cenno: la cancellazione, con il referendum del 9-10 giugno del 1985, della scala mobile, uno strumento che aveva sino a quel momento ben difeso i redditi dei nostri lavoratori e dei nostri pensionati che, dopo di allora, hanno costantemente visto diminuire il loro potere d’acquisto. E’ da notare la coincidenza: negli ultimi 25 anni i lavoratori e i pensionati italiani si sono costantemente impoveriti e ben 23 di questi 25 anni sono trascorsi senza che nessun meccanismo giuridico fosse posto a loro difesa: in questo lungo tempo i salari e le pensioni venivano mortificati mentre, oltre ai profitti, si dilatavano enormemente le retribuzioni dei grandi manager, sia pubblici che privati, anche di quelli che hanno portato al fallimento le loro aziende e messo sul lastrico migliaia e migliaia di lavoratori. Ora, se ben ricordiamo, anche in occasione della celebrazione di quel referendum così disastroso per le sorte di milioni di lavoratori italiani, Confcommercio pensò bene di schierarsi dalla parte di “padroni”, invece che di quella della gran parte dei loro clienti. Così come siamo certi che ancor’oggi, se chiamata a ripetere quella scelta non esiterebbero a riconfermarla. Ma, allora, di che si lamentano! Quanto a noi, va ricordato che Rifondazione Comunista raccolse nel 2006 centinaia di migliaia di firme in tutta Italia sotto un documento che parlava della istituzione di una “nuova scala mobile”. Si trattava di una proposta assai popolare e concreta che, ne siamo certi, era apprezzata dalla stragrande maggioranza dei nostri lavoratori e pensionati ai quali è stata in questi anni negata persino la restituzione del fiscal drag. Un battaglia popolare che, curiosamente, abbiamo dimenticato di condurre nel corso della difficile campagna elettorale che ha visto scomparire la Sinistra italiana dal nostro Parlamento nazionale e certamente sono dimenticanze come questa che hanno fortemente contribuito alla nostra sconfitta. Condividi