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di Nichi Vendola Siamo ancora frastornati e confusi. con una accelerazione violenta e persino drammatica l'Italia, dopo un quindicennio di turbolenta transizione, si è risvegliata a destra, anzi 'di destra'. I suoi umori, le sue culture, la sua figurazione del mappamondo della globalizzazione, il ribollente magma di sogni e di paure che abitano l'immaginario collettivo, insomma proprio tutto è parso scomporsi e ricomporsi dentro la narrazione di una nuova specie di radicalismo ideologico. La destra ha palralato una lingua non solo chiara ma anche 'adesiva', mimetica, capace di dare identità a corpi sociali drammaticamente frammentati e assai spaventati. Il fantasma della 'casta' ha movimentatola discussione pubblica, liberando frustrazioni e risentimenti, moltiplicando cinismo e disgusto, catalizzando un odio figlio dello smarrimento, del senso di precarietà, del corto circuito tra consumismo totalitario e crisi economica incombente. E se, negli anni '70, la metafora pasoliniana del 'Palazzo' alludeva a un potere omertoso e colluso, nei cui sottoscala si incrociavano cospiratori di varia natura, ma nei cui piani nobili andava in scena la rete anche illecita di scambi tra politica e economia (quella che Eugenio Scalfari deniminò 'razza pradona), oggi la casta appare metafora assai più livorosa ma del tutto inerte: come una pietra scagliata contro un ceto politico esposto a quella delegittimazione che non scalfisce nessuno degli altri poteri. Infatti il sistema d'impresa, il circuito dei mass-media, la gerarchia ecclesiastica, gli apparati giudiziari, le corporazioni più varie, nessuno di questi attori protagonisti della vita sociale ha conosciuto la gogna a cui è stata esposta la politica. La comunità virtuale e la piazza reale di Beppe Grillo hanno poi rotto gli argini 'di sinistra' al dilagare della semplificazione qualunquista, dell'esercizio della parola come corpo contundente, della predicazione urlata e solitaria che surroga la fatica corale del pensiero e dell'azione. La contesa politica, a dispetto della sua torsione bilpolare, ha smesso di essere contrapposizione insieme simbolica e materiale di progetti di società, e si è progressivamente ridotta la rango di talk-show. Da destra e da sinistra è stata scorticata viva la differenza tra destra e sinistra. E per la destra la morte della politica non è una eutanasia, ma una formidabile resurrezione in forme nuove: come pelle di una corporeità sociale che non deve più indossare gli abiti dell'incivilimento e della convivenza, come vitalismo immediato del turbo-capitalismo del nordest mescolato al brusio popolare di ogni periferia, come rancore anti-fiscale che unisce proprietari e proletari. E dunque la destra e la sua lingua hanno aderito elasticamente al basso ventre della nostra società: e le elezioni hanno rappresentato il grande e disinibito ritorno dell'ideologia, della politica 'forte', delle identità viscerali; solo il pd ha rimestato tra gli avanzi di un pragmatismo incolote, chiamando riformismo un intero repertorio di subalternità all'agenda della destra (dalla sicurezza alla flessibilità). La sinistra moderata dapprima ha liquidato la lotta di classe come un residuo ideologico, conseguentemente ha derubricato il conflitto sociale a caos e violenza, poi ha messo in una campana di vetro la memoria storica delle lotte, poi s'è pure smarrita l'orientamento sessuale, infine si è suicidata nel nome della reincarnazione governista. Il passaggio, nelle figure di riferimento, dal lavoratore al cittadino al consumatore, è stato fatale, ha aperto la diga e la destra ci ha alluvionati. La letteratura frizzantina di Veltroni, nonostante la sapienza del marketing, non buca il cuore dei 'popoli italiani'(tribù, lobbies, corporazioni) e rimbalza sulle barriere architettoniche della grande Periferia urbana e sociale in cui abita lo sgomento dei non garantiti e la paura del ceto medio terremotato. Che schianto! E noi,quelli che alle ragioni sociali e ideali della sinistra hanno dedicato tutta la vita, noi abbiamo solo intuito, ma non capito. Oscuri presagi con qualche affanno analitico. Forse l'arcobaleno è stata la gaffe di chi presentava il diluvio universale. E ora ci tocca nuovamente attraversare il deserto, risalire la china, dare coraggio a quelle e quelli che vogliono reagire, prenderci cura gli uni degli altri, riaprire quei cantieri dell'innovazione che sono indispensabili per restituire fascino, credibilità, efficacia politica e radicamento sociale alla sinistra di alternativa. Personalmente sono molto spaventato: ma non disperato. Ho imparato proprio dal Manifesto, dai pensieri lunghi e difficili e necessariamente aspri di Rossana Rossanda, quanto sia importante darsi luoghi e tempi di riflessione collettiva, sul 'che fare?': il congresso di Rifondazione non può essere una liturgia chiusa, un problema dei militanti e dirigenti di quel partito, e soprattutto non può essere una grottesca resa dei conti tra quelle vecchie appartenenze che risvegliano le loro cellule tenute in sonno. Salvare Rifondazione per ricostruire la sinistra, ecco una discussione da fare all'aperto, con tanti e tante anche fuori di noi. La sinistra, benchè battuta e dispersa, è molto più lunga e più larga di quanto non siano le sigle di chi prova a rappresentarla politicamente. Oggi abbiamo bisogno di ascoltare le voci di dentro, ma anche le voci di fuori. Se il mio partito si chiuderà a riccio, saziandosi delle proprie conte interne, predisponendosi al galleggiamento e alla sopravvivenza, allora avremo davvero interiorizzato fino in fondo la sconfitta. Restaurare il passato è un modo di arrendersi al presente e di rinunciare al futuro. La sinistra non credo che abbia bisogno di un altro suicidio. Condividi