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di Andrea Boccalini Se i teo-dem Italiani, attraverso la Binetti, non hanno dato la fiducia sul pacchetto sicurezza per opporsi all’emendamento sul reato di omofobia, onde evitare che il Vaticano, con le sue dichiarazioni su gay e lesbiche, possa commettere un reato, i loro epigoni iraniani hanno dato forma e sostanza al potenziale di intolleranza insito nella loro filosofia. Infatti, nella notte tra il 5 e il 6 Dicembre, a Teheran, il ventunenne iraniano Makwan Moloudzadeh è stato "giustiziato" per aver commesso il reato di lavat (sodomia). Il parallelo può far drizzare i capelli a qualche benpensante. Ma se i teo-dem Italiani hanno talmente paura che le loro fragili convinzioni possano disciogliersi di fronte ad un confronto che metta il rispetto per l’uomo davanti ai dogmi, al punto da reputare pericoloso tacciare di reato il razzismo nei confronti dei gay, i loro principi come possono essere considerati tanto diversi da quelli degli integralisti islamici che giustiziano a causa dell’orientamento sessuale? Per la Binetti è evidente che vivere liberamente la propria sessualità non è un diritto, altrimenti qualsiasi gesto in grado di minare questa libertà sarebbe per logica reato, compresa l’omofobia. Perciò se per la falange oltranzista del Pd il diritto che si può esercitare è il razzismo, come in Iran, anche se senza la pena di morte, il reato diventa l’orientamento sessuale che non si confà ai dettami di una lettura integralista della propria religione, che sia quella cristiana o quella islamica. Lettura che in entrambi i casi è comunque in grado di bloccare il processo di crescita del rispetto dei diritti dell’uomo. Tornando al caso di lavat, che rappresenta il culmine di quali pericolosi inneschi possano generarsi dall’intolleranza determinata da una lettura dottrinale distorta, il giovane è stato giustiziato mentre era in pieno corso la campagna dei cuori lanciata per salvargli la vita dall’associazione “every one”, a cui stavano arrivando migliaia di adesioni da tutto il mondo. Il giovane, che secondo l’autorità israeliani era “reo” di aver amato a 13 anni un suo coetaneo, è stato giustiziato dai suoi aguzzini nel carcere di Kermanshah dove era detenuto, improvvisamente e nel più totale silenzio; senza che venissero informati dell’esecuzione né i suoi genitori né il suo avvocato. Ma a lasciare ancora più increduli è che, racconta il comunicato del gruppo everyone, grazie alle pressioni ricevute, il ministro della giustizia iraniano, l’Ayatollah Mahmoud Hashemi Sharoudi, aveva sospeso la condanna, manifestando l’intenzione di concedere la grazia. “Una notizia che ci ha lasciato increduli”, ha commentano i leader di everyone, “giunta mentre continuavano a pervenire centinaia di mail di sostegno da tutto il mondo, scritte da personaggi della politica, da attivisti e cittadini”. Tranne i teo-dem ovviamente. Condividi