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di Roberta Fantozzi Il nostro congresso è carico di una straordinaria responsabilità. Possiamo riprendere il percorso ancora da scrivere della rifondazione comunista e ricostruire efficacia e un futuro per la sinistra nel nostro paese. Possiamo farcela e le reazioni dei tanti che affollano assemblee e dibattiti, le reiscrizioni e le nuove iscrizioni, sono il segnale migliore delle energie e della passione politica che si riattiva. Ma dobbiamo sapere che siamo ad un passaggio di estrema difficoltà. Ricostruire il conflitto sociale, riprendere l'iniziativa. Qui ed ora C'è bisogno intanto, di costruire da subito l'iniziativa politica su nodi decisivi squadernati di fronte a noi. Rischiamo che si porti a termine una duplice operazione "costituente" tanto sul versante della democrazia, quanto su quello dei rapporti sociali. Due facce di una stessa medaglia. Da un lato le proposte di parte del PD di introdurre la soglia di sbarramento anche per le elezioni europee puntano a portare a compimento la linea della distruzione della sinistra politica. Siamo alla volontà di chiudere il cerchio, ad ogni livello istituzionale, di quel bipolarismo tra simili che punta da almeno due decenni ad espellere dalla sfera della rappresentanza le ragioni del conflitto sociale ed ogni prospettiva di trasformazione dell'esistente. Dall'altro l'offensiva sul terreno dello svuotamento definitivo della contrattazione nazionale prefigura l'eliminazione di uno degli ultimi strumenti di regolazione universalistica dei rapporti fra capitale e lavoro, con il possibile esito di un'ulteriore processo di corporativizzazione territoriale e di un incremento delle dinamiche di atomizzazione competitiva dentro il mondo del lavoro. All'opposto di processi di ricomposizione fra precari e "garantiti", lavoratori nativi e migranti, della necessità di estendere il carattere universalistico del welfare per rimettere in discussione la divisione sessuata del lavoro, all'opposto in una parola dell'obiettivo di costruire quel nuovo movimento operaio che da tempo indichiamo come necessario per qualsiasi prospettiva di cambiamento, rischiamo la frantumazione ulteriore, un passo in avanti nella giungla della competizione di tutti contro tutti. Come rischiamo che invece di un processo di ridensificazione delle relazioni sociali, attraverso il rinsediamento territoriale di un sindacato della partecipazione e dell'intreccio delle lotte per i diritti del lavoro con quelle di cittadinanza, come scrive giustamente Dino Greco, si determini un salto di qualità nello snaturamento di ruolo e composizione materiale della Cgil. Non possiamo discutere dei nostri obiettivi da qui a tre anni e non attrezzarci da subito, per impedire che si determini un ulteriore arretramento dei rapporti di forza sociali. Forse sarò banale, ma possiamo organizzare un volantinaggio nei luoghi di lavoro e in quelli di vita sulla posta in gioco? Possiamo fare riunioni delle nostre compagne e dei nostri compagni impegnati nei sindacati? Non separare la discussione interna dal nostro agire quotidiano, dal lavoro politico da svolgere, qui e ora, deve essere il primo impegno da assumere collettivamente. Insieme ad un altro che riguarda più direttamente il dibattito che si è sin qui svolto. La chiarezza e l'unità. Perché la rifondazione continua Dobbiamo attraversare il congresso come una comunità capace di una discussione limpida che nomini fino in fondo i problemi che ci sono stati, i nodi da sciogliere per il futuro e al tempo stesso capace della massima vocazione unitaria. Nominare i problemi è condizione per poterli risolvere o comunque gestire in maniera condivisa. E' l'opposto della rimozione e della esibizione di unanimismi di facciata dietro i quali continuano ad operare alleanze e cordate, sottratte al confronto esplicito, alla piena consapevolezza e possibilità di scegliere di tutte e tutti. Ed è anche l'opposto della negazione dell'altro, della sua riduzione al punto anche difficile e aspro di dissenso, della introiezione di logiche maggioritarie, per cui chi vince prende tutto, come abbiamo fatto tutti noi, sbagliando, dopo il Congresso di Venezia. Che l'apertura della discussione su come costruire l'unità delle sinistre, si sia sviluppato con le diverse opzioni del soggetto unico o della federazione, e che nella prima ipotesi fosse contemplata la dissolvenza di Rifondazione Comunista, della sua autonomia culturale, politica e organizzativa, non è invenzione di qualcuno, ma quello che si può ricavare, scorrendo il dibattito che ha attraversato per un lungo periodo di tempo il nostro partito, in maniera più spesso evocativa, ma talvolta assai esplicita E non è invenzione di nessuno che in una campagna elettorale difficile in cui ci eravamo detti che bisognava praticare la moratoria di un dibattito che si sarebbe esplicitato pienamente dopo, sia stata viceversa impressa una accelerazione fortissima verso il partito unico, fino al punto di prefigurare il comunismo come una tendenza in un contenitore più ampio. Nemmeno è un'invenzione dire che subito dopo la sconfitta elettorale, i primi commenti di molti abbiano detto che comunque il processo della Sinistra Arcobaleno era "irreversibile" e andava "accelerato", una linea diversa da quella di "ripartire da rifondazione". Su questo si è determinata la necessità della chiarezza. Sul passato, che non è lieve. E sul futuro, per dire che la rifondazione comunista non sta dietro di noi ma davanti a noi e che questo è alternativo alla costituente comunista, cioè ad un'ipotesi regressiva di riaggregazione su base puramente identitaria e alla costituente della sinistra, cioè un processo apertamente teso alla formazione di un altro soggetto politico, giacchè questo significa "costituente". Ora dovremmo sgombrare il nostro dibattito da nuovi fantasmi: come quello della chiusura autoreferenziale di alcuni, dello scontro "innovatori" versus "conservatori". Voglio conservare la cultura politica che tutti insieme abbiamo prodotto dentro Rifondazione e da cui è esclusa ogni presunzione di autosufficienza. Voglio conservare la radicalità di una ipotesi di rivoluzione non violenta e di una società liberata dal capitalismo distruttivo dei nostri tempi e consegnata alla democratizzazione integrale dei rapporti sociali. Voglio continuare a cambiare la società, la sinistra e il partito, lambito ma non modificato dal conflitto di genere e dal femminismo. E non voglio chiudermi in nessun fortino. Voglio un congresso che consegni la piena sovranità sul nostro futuro alle donne e uomini che hanno scelto questa comunità, ma voglio continuare a discutere anche durante il congresso con chi non ha tessere o ha altre tessere. E voglio continuare a costruire una sinistra più larga di noi, ripartendo dai movimenti, dalle tante pratiche vertenziali, conflittuali e mutualistiche dei territori, dalla sedimentazione e messa in comunicazione di quelle pratiche, dal fare società che abbiamo evocato e troppo poco agito. Credo che tutto questo si possa fare se cambiamo davvero anche noi stessi, a partire dalla modalità della nostra discussione. Non so se sarà accolta la proposta di un congresso a tesi su un documento unitario della maggioranza costituita a Carrara, che consentirebbe di confrontarci con nettezza sui punti di dissenso, ma anche di riconoscerci percorsi ed elaborazioni condivise. Vale comunque l'impegno per il futuro di un governo unitario, del riconoscersi reciproco, di una comunità laica ed adulta. Tratto da Liberazione del 07/05/2008 Condividi