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Gli esponenti della destra hanno dato una prova tangibile della cultura a cui evidentemente si sentono più vicini: quella del Ventennio. Come si spiega altrimenti che proprio oggi Berlusconi abbia incontrato un fascista dichiarato come Ciarrapico, che altri abbiano detto di aver passato la giornata a tagliare il prato o che nelle città amministrate da queste forze i sindaci non abbiano preso parte alle celebrazioni della liberazione, come è accaduto a Milano, o abbiano cercato di ostacolarne lo svolgimento. Eppure è proprio grazie a quella democrazia tornata in Italia grazie ai partigiani e alle partigiane che liberarono il Paese dalla dittatura e dall’occupazione nazista che questi signori hanno potuto vincere le elezioni. Credo che il 25 aprile dovrebbero ricordarsi di tutto questo. Ma non è così, la loro cultura sta da un’altra parte Contro odio e intolleranza il valore dell’antifascismo, lotte sociali e antirazzismo. Ripartiamo insieme da qui - Liberazione Aprile 25, 2008 Non è la prima volta che la festa del 25 aprile cade in un momento di difficoltà per la cultura democratica e per la sinistra di questo Paese. Non è la prima volta che nel ricordare come la libertà sia stata riconquistata allora battendo fascisti e nazisti, dobbiamo osservare come altre gravi sfide minaccino il nostro orizzonte. Una destra che alimenta e interpreta nel modo peggiore le paure e l’insicurezza sociale che attraversano tanta parte della società si avvia a guidare il Paese. E’ una destra che ha costruito nel tempo un vocabolario dell’odio, un immaginario di guerra, definito figure, veri e propri capri espiatori, su cui convogliare le ansie e i timori dei più deboli. Non hai una casa? Con il tuo stipendio non arrivi alla fine del mese? Non hai certezze per il futuro? La risposta è sempre la stessa: la colpa è degli “stranieri”, “immigrati”, “clandestini” e via dicendo. Oppure la colpa è di tutti coloro che sono percepiti comunque come “altro da sé”, figure irriducibili a una sedicente normalità. Razzismo, xenofobia, discriminazione ma anche sordo rancore verso quello che non è definibile come “proprio”. Su tutto grava la ricerca di proteggersi definendo il territorio di una comunità chiusa e ostile verso il resto del mondo: quasi si fosse eletta la follia da cui è scaturita la strage di Erba come modello sociale. La destra di oggi non si presenta più con il volto della nostalgia del passato, non evoca il fascismo e il suo linguaggio ma tende a incarnare un’idea dell’innovazione e della modernità che ha l’aspetto di una vera rivoluzione conservatrice, rimandando così piuttosto a quanto accadde in Europa nel periodo tra le due Guerre Mondiali quando nel clima della crisi economica e sociale sorsero i germi culturali e politici dei futuri fascismi del Continente. Proprio per questo il 25 aprile non può rappresentare soltanto una tappa, seppure decisiva e fondante della nostra memoria. Ricordare e riannodare i fili di una storia collettiva che ci è ancora raccontata dalle tante e dai tanti che allora misero in gioco la loro vita, che scelsero di mettere in discussione tutto per liberare sé e gli altri ci serve per capire da dove ora possiamo ripartire tutti insieme. Si deve infatti impedire che nella crisi sociale di oggi trovino consenso, come già si è visto in queste elezioni, le spinte fascistoidi e razziste che investono sulla guerra tra i poveri per costruire le proprie fortune. Per questo l’antifascismo di cui abbiamo bisogno non può e non deve fermarsi alla memoria ma deve attaccare alla radice le questioni sociali su cui prosperano le nuove destre. Un antifascismo che in questo momento si deve esprimere attraverso la costruzione di un’opposizione sociale che sappia combattere nella società le scelte antipopolari già annunciate da Berlusconi e dai suoi. Su temi come la precarietà, la questione dei salari e delle pensioni, l’emergenza casa, la difesa dei diritti dei migranti, il diritto di scelta delle donne, dovremo saper costruire fin dalle prossime settimane grandi mobilitazioni che riconnettano tra loro i pezzi di ciò che oggi appare diviso e debole, sparso qui e là nella società. Non si può infatti pensare di battere questa destra senza che si offrano risposte ai bisogni e all’insicurezza sociale di cui si nutre. Allo stesso modo non si può pensare di battere il razzismo senza affrontare i nodi sociali su cui immigrati e italiani vengono messi in concorrenza da chi vuole rendere stabile questo conflitto in modo di poter meglio controllare la società e ogni possibile spinta al cambiamento. Oggi l’antifascismo e l’antirazzismo devono necessariamente essere declinati all’interno delle lotte sociali, altrimenti rischiamo di regalare definitivamente la nostra gente ai propagandisti dell’odio e dell’intolleranza. Per questo si deve ripartire dai luoghi di lavoro, dai territori, dai quartieri, dalle città. Si deve ripartire dal confronto e dalla discussione, rimettendo in movimento quelle forme della partecipazione senza le quali non c’è né sinistra né vera democrazia. La Resistenza contro fascisti e nazisti fu prima di tutto questo: un grande movimento popolare che reclamava libertà, diritti, democrazia e giustizia sociale. E che fin dalle forme che assunse annunciava il carattere plurale di quella proposta: l’idea che la democrazia si fondi sulla partecipazione, sulla capacità di costruire cittadinanza. Il diritto alla libertà e a una vita degna, per sé come per gli altri. Da qui dobbiamo ripartire anche oggi. Condividi