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La sconfitta elettorale (c’è chi, forse più opportunamente parla di disfatta) è bruciante, di proporzioni tali da mettere in discussione l’intero progetto politico di cui Sinistra arcobaleno era espressione, unire e rinnovare la sinistra, e che proprio noi di Sinistra Democratica, per primi, lanciammo con la grande Assemblea del 5 maggio dello scorso anno. I dati elettorali ci restituiscono una realtà assai cruda. Stretti tra voto utile ed astensione dai 3 milioni e 900 mila voti ottenuti appena due anni or sono dalle tre forze allora presenti della Sinistra (Verdi, Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista) siamo scesi a 1 milione e 121 mila, pari ad una variazione percentuale del – 71,2%. Il dato impressionante e questo calo è generalizzato in tutte le aree del paese, al Nord come al Centro come al Sud. Le uniche due province che “contengono” le perdite sono Ragusa con un -57,2 % e Bolzano con -57,9%. In tutte le altre province le perdite sono, in alcuni casi abbondantemente, al di sopra del 60%. Anche in Umbria il risultato è drammatico -73,2%, da 74.371 a 19.903 voti. All’appello, rispetto al 2006 mancano 54.468 voti. Di questi, secondo stime elaborate dall’Università di Perugia, 33.000 sono andati alla coalizione guidata da Veltroni, oltre 12.000 si sono rifugiati nel non voto e oltre 7.000 hanno optato per le altre tre formazioni di sinistra presenti nelle liste elettorali. Le cause di questo risultato sono molteplici. Provo ad elencare, in ordine casuale, quelle che a me paiono le principali: una scarsa credibilità del progetto politico di Sinistra e l’Arcobaleno, i troppi tentennamenti e distinguo che si sono manifestati durante tutto il percorso, le incertezze dopo l’Assemblea della Fiera di Roma, la inutile discussione sul simbolo, e così via, tali da far intendere che tutto sommato si trattava di un puro e semplice cartello elettorale; l’immagine di vecchio che abbiamo dato al paese, a partire dal modo con il quale si sono costruite le liste, con posti rigidamente assegnati alle quattro componenti politiche, senza alcuna apertura all’esterno, a quella cosiddetta sinistra diffusa di cui tanto parliamo. In questo senso la stessa candidatura di Fausto Bertinotti, pur nel generoso impegno profuso, non ha certo contribuito a trasmettere una immagine di rinnovamento; la disillusione nei confronti dell’esperienza del governo Prodi, rispetto alla quale le forze politiche di S.A. sono state viste come la componente rissosa della compagne governativa, responsabile di continue fibrillazioni (se non della stessa caduta del governo Prodi) ma anche, al tempo stesso, incapace di difendere gli interessi dei ceti popolari; una proposta politica “astratta” centrata più sulla sottolineatura del rischio della scomparsa della Sinistra che a proporre precise risposte ai concretissimi problemi del paese; l’aver pacificamente e tranquillamente (per certi versi con sollievo) accettato la “separazione consensuale” con il Partito Democratico, senza incalzarlo sulla impossibilità, come i fatti hanno dimostrato, di poter da solo battere il centro-destra e, quindi, sulla necessità di ricostruire, su basi nuove e chiare, un’alleanza programmatica di centro-sinistra, fondata non su una miriade di partitini ma su due formazioni politiche il P.D e la S.A. Ma soprattutto e più di tutto ci ha penalizzato quel nostro essere dichiaratamente e programmaticamente forza politica votata all’opposizione dando ad intendere che solo dall’opposizione si costruisce l’unità della sinistra, non hanno fatto altro che confermare nell’elettorato questa idea. E questo è, forse, l’errore principale: non aver capito che il quadro di riferimento era cambiato. Nelle elezioni politiche, in un sistema bipolare (ed ora anche bipartitico), la posta in gioco non è la rappresentanza, ma il governo del paese: chi vince governa. Dichiararsi fin dall’inizio forza comunque di opposizione, a prescindere da chi vince, significa mettersi automaticamente fuori gioco e ciò ha prodotto un micidiale allontanamento di consensi, in particolare da parte di un elettorato come il nostro, dove la preoccupazione massima era ed è sbarrare la strada a Berlusconi. Se a questo aggiungiamo le menzogne veltroniane sul “si può fare”, sui pochi punti di distacco da Berlusconi, il gioco è fatto, la trappola del cosiddetto voto utile è pronta a scattare. Ma, attenzione, il voto utile non è la causa della nostra sconfitta è la conseguenza dei nostri errori. Fin qui l’analisi, ma adesso, che fare. Fermare il processo unitario, ritirarsi ciascuno nelle “casamatte” del passato, alla ricerca di vecchie certezze, è non solo sbagliato, ma condannerebbe la sinistra ad un ruolo marginale ed ininfluente nella vita politica italiana. Al contrario come Sinistra Democratica riteniamo necessario ed urgente mettersi al lavoro affinché in un percorso costituente da aprire fin da subito si definiscano valori, contenuti, programmi di un progetto che ha come obiettivo la costruzione di una sinistra in Italia ispirata ad un nuovo socialismo e forte di una cultura di governo capace di interpretare e raccogliere le sfide che il paese ha di fronte. Centrale in questa prospettiva risulta la dimensione territoriale, perché è proprio nei territori che in questa dura e difficile campagna elettorale sono venute maturando esperienze unitarie, si sono costruite quelle che definirei “comunità della sinistra”: un patrimonio che non va perduto. In questo impegno di costruzione a sinistra i cancelli vanno tenuti aperti per tutti coloro che si richiamano ad un comun denominatore di sinistra, anche al di là del recinto della S.A., guardando ad altre forze storiche della sinistra, non ultima la componente socialista. E’ importante che nei prossimi giorni nei diversi territori si realizzino momenti di riflessione comuni, occasioni di incontro, dibattito e riflessione anche pubblici. E’ vero la Sinistra umbra è scesa al 3,3%, ma continua ad esistere, a stare in campo: questo il messaggio da lanciare, ridando fiducia e speranza ai nostri militanti, ai nostri elettori. Nei primi mesi del prossimo anno andranno al voto le più grandi città italiane e principali province: in Umbria la quasi generalità dei comuni, compresi i due capoluoghi di provincia e le due amministrazioni provinciali. E’ necessario ripartire da qui. Questi appuntamenti dovranno essere l’occasione per riproporre la costruzione di un nuovo centro-sinistra (anche in Umbria il P.D. non pensi di essere autosufficiente) ma anche per affermare la presenza di una unitaria forza della Sinistra, capace di esprimere un suo autonomo punto di vista sulle questioni della società umbra . Condividi