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«Il dilemma ora è: tornare indietro chiudendosi in un fortino o fare un salto e proseguire? Secondo me, scegliendo la prima strada non ci salviamo: non si salva niente». Ragiona così Titti De Simone, 38 anni di Palermo, di professione giornalista, militanza nella Pantera e nei movimenti studenteschi, presidente di Arcilesbica, in Rifondazione dal '95 con la maggioranza bertinottiana. Ora rappresenta l'area Giordano nel comitato di gestione scelto al comitato politico nazionale dello scorso weekend come strada per arrivare al congresso di luglio. Un giudizio a freddo sul cpn? Negativo. Abbiamo vissuto una sorta di resa dei conti, c'è stata una caccia al capro espiatorio più che un'analisi vera e approfondita della situazione politica e degli errori commessi. Abbiamo discusso in un clima di contrapposizione e divisione che, secondo me, indebolisce il partito in un momento di massima fragilità. Noi avevamo invocato una soluzione unitaria di maggioranza perchè ora non c'è bisogno di fratture, non è il caso di aggiungere divisioni allo shock subito per il risultato elettorale. Ci voleva un di più di responsabilità, invece si è voluto produrre un cartello che ha spaccato la maggioranza sommando culture molto diverse tra loro. Ne parlo in libertà: la vedo difficile che persone come Ferrero, Russo Spena, Mantovani facciano un documento politico unitario con Grassi per il congresso. Si è perseguito un obiettivo che non era fare analisi politica. Ho visto tornare teorie del complotto su di noi che vorremmo lo scioglimento del partito: mi dicano quale documento politico presenta una proposta del genere, nessuno l'ha avanzata. Torna invece la cultura del sospetto, il peggio della cultura comunista del '900, quella che abbiamo cercato di rimuovere dentro Rifondazione. Ha prevalso una forma regressiva che non fa bene a nessuno. E adesso? Adesso c'è una situazione per cui nessun documento ha la maggioranza assoluta dei consensi. Si punta ad un congresso che garantisca la massima libertà e partecipazione. Sarebbe opportuno che nel frattempo ci aprissimo ad un confronto anche con le realtà al di fuori di Rifondazione, con assemblee aperte anche solo per sentirci tutti meno soli e per avere la massima apertura di visione sul futuro e sulle prospettive. Bisogna ripartire da Rifondazione per ricostruire la sinistra, ma il punto politico è: da quale Rifondazione? Non da una Rifondazione che ritorna al passato. Non si può tornare indietro alle tesi di Venezia, messe in discussione da Grassi e dall'Ernesto, e non si può tornare indietro a posizioni identitarie, ortodosse. Non c'è salvezza se ognuno sta nel suo fortino. Si deve ripartire dall'innovazione politico- culturale da sempre centrale in questo partito: Genova, il femminismo, l'ambientalismo, le lotte per diritti civili, per i beni comuni. Dobbiamo aver cura di un partito che per tanti oggi è anche l'unica speranza di ricostruire una sinistra rinnovata. Ferrero propone di ripartire dall'opposizione sociale. Of course, direbbero gli inglesi. Il problema è essere in grado di ricostruire i legami sociali, altrimenti torna lo schema antico dell'egemonia dall'alto, schema che è fallito. Come dice Nichi Vendola, il problema non è tornare al territorio, ma andarci perchè il territorio non resta immutato: il voto ci consegna un mondo del lavoro molto diverso da quello che avevamo percepito noi, bisogna superare la sua separazione della politica. E non basta nemmeno legiferare quando sei al governo delle amministrazioni locali. Cito l'esempio della Puglia, dove la Regione ha stabilizzato un migliaio di precari di call center a Taranto, in controtendenza rispetto a quello che avviene altrove e su scala nazionale. Come dice lo stesso Nichi, alla fine quelli non ci votano. Quindi, il punto non è solo stabilizzare ma costruire senso. a.mau. Tratta da "Liberazione" 22/04/2008 Condividi