stef1_0.jpg
Le donne sul mercato del lavoro in Italia e in Umbria sono penalizzate. In primo luogo perché guadagnano meno dei colleghi maschi anche quando svolgono le stesse loro mansioni. In Italia il differenziale retributivo uomo/donna si attesta su una media del 23% con un’oscillazione che va da un minimo del 15% ad oltre il 40% per le libere professioni. E poi perché sono le donne ai primi posti nella non bella classifica di impiego con tipologia di lavoro precario. Si configura per questa via un nuovo pericoloso fenomeno: il progressivo impoverimento del lavoro femminile, per cui centinaia di migliaia di donne lavoratrici, si trovano a rischio di povertà con carichi di lavoro e nastri orari particolarmente pesanti ed aggravati dal rischio continuo della non rinnovabilità del contratto. Ci sono degli importanti interventi sul welfare che darebbero un poco di dignità in più al lavoro delle donne. In primo luogo occorre modificare, ampliandolo, il sistema dei congedi parentali. L’uso dei congedi parentali è limitato ad appena il 24% delle donne che hanno usufruito del congedo di maternità, nei primi tre anni di vita del bambino, per crollare al di sotto del 10% per i successivi tre anni. Mentre gli uomini utilizzano lo strumento per meno del 3% degli aventi diritto, a conferma della totale assenza di una cultura della condivisione degli impegni di cura. Vanno da subito previste misure d’innalzamento della copertura economica rapportata alla retribuzione, portandola almeno al livello della copertura del congedo obbligatorio (80%) e prevedendo condizioni premiali per le imprese che la aumentino fino al 100 %, così come vanno ampliate le causali, comprendendovi anche familiari di persone non autosufficienti e portando l’età dei figli fino alla maggiore età. In secondo luogo bisogna sostenere il lavoro delle donne nel primissimo periodo di ritorno dalla maternità attraverso politiche di defiscalizzazione mirata delle retribuzioni, che premino politiche degli orari ridotti e più compatibili con l’esigenza dell’accudimento di bimbi piccolissimi (es. part-time reversibile, su richiesta della lavoratrice e/o del lavoratore a 25/30 ore, retribuito 30/35 , una sorta di prosecuzione per i primi tre anni delle cosiddette ore di allattamento). Condividi