andreani.jpg
Questo è il tempo della campagna elettorale. Chi da Sinistra è impegnato in questa fatica, avrà già constatato la complessità dell’impresa. D’altro canto, alcuni di noi, avevano già avvertito che ridare forza e prospettiva alla Sinistra, nel nostro Paese e nel nostro tempo, sarebbe stato un compito difficile e non privo di asperità. Mi sono interrogato se il momento della “battaglia” potesse essere anche quello della riflessione sulle traiettorie politiche ed alla fine ho risposto affermativamente perché l’antidoto agli appelli interessati al voto utile è da ricercare nella ragione e negli argomenti più forti e “lunghi”. Credo non sfugga ad alcuno che la Sinistra si trovi ad affrontare la sfida elettorale in un momento di fragilità organizzativa e di passaggio, tra ciò che c’era prima e quello che si sta faticosamente costruendo. Parimenti, è di evidenza che dall’esito di questa campagna elettorale, i processi di unificazione e rinnovamento avviati, potranno trarre maggiore o minor linfa. Ciononostante, ciò che tutti dobbiamo aver chiaro è che la partita che stiamo giocando avrà insieme tempi brevi e tempi lunghi. Tempi brevi perché non si potrà prescindere da cosa accadrà il 13 e 14 aprile, da come saranno proposte le riforme costituzionali che presumibilmente il PD ed il PDL vareranno e dall’esito delle tornate amministrative del prossimo biennio e tempi lunghi perché per rilanciare la Sinistra occorrerà rinnovarla anche profondamente. Insomma, abbiamo di fronte una prospettiva tattica ed una strategica. In questi ultimi giorni, gli argomenti sono diventati sempre più brevi, semplificati ed acritici – e man mano che si avvicinerà il voto lo saranno sempre di più - convergendo verso la tattica, da qui gli appelli al voto utile, che in sostanza sono sollecitazioni ad un voto “contro”. Infatti, i due maggiori partiti vorrebbero avvantaggiarsi sia del consenso diretto sia del dissenso verso il leader avversario. Legittimo e persino doveroso è chiedere consenso per il proprio progetto, mentre quantomeno “peloso” è reclamare assenso giustificandolo con la “repulsione” suscitata dal proprio avversario. Così facendo, si introduce nella prassi politica un senso di utilitarismo antipolitico, che profitta di sentimenti negativi, alimentando perfino la cultura del risentimento, nuocendo gravemente al libero confronto delle idee. Ora, siccome con il voto i cittadini sostengono idealità e edificano il futuro, per una Sinistra di progetto non può che esserci la prospettiva del “per” e mai del “contro”. Per queste ragioni, pongo sommessamente in termini problematici la questione che avanza anche fra noi, circa il voto disgiunto tra la Camera ed il Senato. Comprendo chiaramente il fatto che in molte regioni, un uso articolato del voto da parte di elettori del PD potrebbe sottrarre senatori al PDL a favore della Sinistra, ma mi chiedo se, con il solo passaparola, ciò potrà assumere realmente dimensione di massa e nello stesso tempo, se questo non possa, al contrario, apparire incoerente con il necessario contrasto al voto cosiddetto “utile” che i leaders dei due maggiori partiti reclamano in maniera generalizzata. La questione della coerenza tra comportamenti e messaggio politico credo sia un aspetto da curare con estremo dettaglio, non solo per gli accadimenti del 13 e 14 aprile ma anche e soprattutto, in previsione della fase che si aprirà dopo, esposti come saremo da un lato alla vulgata del “sono tutti uguali” e dall’altra al vento dei partiti-appartato-Stato, che sul terreno delle “convenienze” possono offrire assai. Occorre allora continuare ad illustrare ai cittadini una visione di lungo periodo, che parli del tipo di Paese che vogliamo, del mondo nel quale dovremo vivere noi ed i nostri figli, del futuro che desideriamo. Insomma, di come noi vogliamo intendere e soprattutto costruire la modernità. A differenza della fisica, in cui le regole che presiedono all’ordine sono già scritte e nostro compito è indagarle per scoprirle, nelle cose sociali esse si materializzano, quando le idee, attraverso la cultura, si depositano nel senso comune, si interiorizzano e diventano linguaggio, modo di essere e comportarsi. Il nostro progetto, se vuole cambiare realmente le condizioni di vita dei molti che sono sempre più spinti ai margini della società, ha bisogno - oltre che dei voti - di alimentare nuovi valori. Insomma, l’insegnamento gramsciano, circa la necessità del perseguimento dell’egemonia culturale come condizione per quel consenso che modifica le cose è oggi sempre valido. D’altro canto, la trasformazione valoriale che ha operato in questi anni nella società, attraverso l’egemonia del pensiero individualista e liberista, ha sottratto ad un’intera generazione di giovani - compressi nella condizione di bassi salari, bassi consumi ed incerti diritti - la possibilità di pensarsi collettivamente. Questo processo culturale ha oggettivamente cospirato contro la manifestazione collettiva degli interessi dei giovani, che sembrano aver perso memoria degli accadimenti di cui furono protagonisti padri, i quali furono interpreti di una stagione di grande avanzamento sul piano dei diritti - dallo Statuto dei lavoratori, alla riforma del diritto di famiglia - attraverso l’impegno nel sindacato, nei partiti della sinistra e nei movimenti, in primis quello del ’68. Risalire il piano inclinato del pensiero prevalente ed egemonico di questi ultimi anni rappresenta la maggiore nostra difficoltà. Proprio il concretizzarsi, irreversibilmente, di questa prospettiva che ha indotto molti di noi a non seguire gli altri compagni verso il PD. Pur se tutti avvertivamo la necessità di dotare il Paese di una grande forza capace di innovare in profondità nella vita politica e sociale, al fondo, la vera questione che ci ha diviso era relativa alla base culturale sulla quale farla nascere. Per alcuni, la stratificazione culturale italiana, per come storicamente si era determinata, rendeva impossibile affrontare il tema senza la convergenza organica e politica con i cattolici democratici, con quanto ne discendeva sul tema del pensiero lavorista, della laicità e del welfare, mentre per noi rimaneva aperta la prospettiva della costruzione di un soggetto laico, che attingesse pienamente dal pensiero dal movimento operaio e socialista, tentando perfino di operare una ricomposizione unitaria. Su questo sostrato, noi abbiamo creduto e crediamo si possa fondare un soggetto politico di sinistra che assuma come cardini i temi della libertà e dell’egalistarismo, dell’autodeterminazione della donna, dello sviluppo sostenibile e della difesa dei beni comuni, della pace e soprattutto che rilanci il valore del lavoro, non come una qualsiasi attività dell’uomo, ma come il principale strumento di realizzazione della personalità e di adempimento del dovere di solidarietà. L’esito di questa divergenza politica non è scontato, si misurerà nel medio periodo e dipenderà in larga misura da come saremo in grado di interpretare il problema del cambiamento e del rinnovamento anche morale della società. I processi di mondializzazione economica stanno forgiando una nuova classe sociale di lavoratori, che non hanno ancora una generale rappresentanza politica. Per certi versi, la nostra impresa è di rilevanza storica e proprio per questo volgere lo sguardo verso quei processi che portarono alla nascita dei grandi movimenti della sinistra moderna, può aiutarci capire se oggi possediamo gli “attrezzi” necessari per dare l’avvio ad una stagione con quell’ambizione. I grandi partiti della Sinistra che tutt’oggi esistono nei grandi paesi europei, affondano le loro radici nei movimenti operai che si andavano diffondendo a seguito dell’organizzazione industriale della produzione. L’Italia, che l’industrializzazione l’ha conosciuta con enorme ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Europa Occidentale, in aree molto limitate ed in un contesto di egemonia culturale della chiesa cattolica, ha avuto una storia, sotto il profilo della Sinistra, singolare, avendo il più forte partito comunista dell’Occidente, dall’idealità rivoluzionaria ma con una prassi riformatrice. Oggi è in atto una profonda trasformazione del modo di produrre e nuove domande di tutela emergono prepotentemente. La nostra posizione, dunque, non è ispirata da un’ostinazione ma deriva da un’analisi degli eventi storici e siccome non pensiamo di sbagliare storia, siamo convinti di non confondere politica. E’ proprio la volontà di riconnettersi al tessuto continentale, di riprendere un percorso che sembra in affanno anche nelle socialdemocrazie e di portarlo ad un più elevato grado di elaborazione che deve animare il nostro sforzo, per dotare l’Italia di una grande forza autenticamente progressista e laica. D’altro canto il modello di sviluppo di un Paese non può essere separato dal modello politico. Ad esempio, noi che siamo umbri, potremmo pensare al livello della nostra qualità di vita, pur con i suoi limiti, senza correlarlo direttamente al modello politico che dagli anni settanta ad oggi ha governato i processi regionali? Evidentemente no. Questa aspirazione al ricongiungimento con le migliori tradizioni della Sinistra d’Europa ed all’innestarvi nuovi elementi d’avanzamento sociale è ben riassunta nei 14 punti del programma della Sinistra L’Arcobaleno. Essi non sono per niente velleitari, ma sono obiettivi credibili sui quali realizzare una grande mobilitazione, infatti, in larga parte essi sono già principi conquistati e giuridicamente assimilati negli ordinamenti dei più importanti paesi europei: si pensi al tema della durata massima del lavoro giornaliero, al livello della retribuzione salariale, all’indennità sociale per la disoccupazione, alla lotta all’evasione fiscale, al valore intangibile della laicità dello Stato, al livello dell’istruzione ed alla qualità della ricerca, alla più forte emancipazione femminile, ai diritti civili riconosciuti, tra cui spiccano quelli relativi alle coppie di fatto. Ebbene, quello che in molta parte dell’Europa è senso comune, da noi è ancora oggetto di aspra lotta politica! Allora, perché se la nostra piattaforma elettorale è pragmaticamente quella più coerente con quella parte dell’Europa laica, progressista, dinamica, che ha saputo costruire le società con il più elevato grado di benessere e protezione sociale, la borghesia italiana schiera prepotentemente i mass-media, di cui detiene la proprietà, contro questa prospettiva? Le ragioni sono molte ed una loro completa trattazione richiederebbe una disamina troppo lunga ma basti, in questa sede dire con Marx che la storia è storia dei conflitti di classe, i quali a loro volta sono frutto del modo di produrre in un dato tempo ed in un determinato sistema. E’ agevole, allora, osservare che il nostro impianto economico è poggiato più su posizioni lucrative, ieri fondate sulla svalutazione monetaria, oggi sulla compressione dei salari, che sull’innovazione e la ricerca. Da ciò deriva un atteggiamento delle componenti utilizzatrici dei mezzi d’investimento, orientato più alla difesa che all’avanzata e dunque congenitamente diffidente degli “spazi aperti” ed a maggior agio sotto l’ombrello protettivo di uno Stato che socializza le inefficienze. Noi che liberisti non siamo, che vorremmo costruire il Socialismo del XXI secolo, abbiamo innanzi una questione in più: quella di non poterci confrontare politicamente con degli autentici liberisti, ma con qualcosa di più amorfo e nostrano ed io credo che anche questo sia un fattore che rende la politica italiana più singolare che altrove. Ecco perché la nostra azione non potrà essere dispiegata solo sul terreno della politica dei partititi ma anche su quello dell’organizzazione dei cosiddetti corpi sociali intermedi. La sfida dunque è aperta e rimarrà tale per un lungo periodo, in cui, però ogni risultato intermedio conquistato avrà valore decisivo in quanto sarà piattaforma essenziale per il successivo. E’ con questo spirito concreto, risoluto e lungimirante che io credo dovremo radicare La Sinistra L’Arcobaleno nelle coscienze delle donne e degli uomini che avranno il coraggio di immaginare un mondo migliore, anche nelle elezioni del 13 e 14 aprile. *Sinistra Democratica Condividi