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di Leonardo Caponi Non condivido affatto l’immagine di Perugia diffusa dai media in Italia e nel mondo, dopo il tragico omicidio di Meredith, la ragazza inglese. Perugia non è una sorta di città della perdizione, sesso e droga, moderna riedizione di Sodoma e Gomorra; anche tenendo conto del fatto che vanno distinti la malavita da una sessualità libera, consapevole e protetta. Ma credo che altrettanto sbagliata sia stata la risposta della nostra amministrazione, ispirata, tanto per cambiare, a quello che mi sento ormai di definire il ritornello del “tutto va bene”. Non ammettere l’esistenza di una crisi evidente della città è un errore, che sta diventando una colpa. E’ sbagliato non accantonare definitivamente l’idea di Perugia isola felice, nella quale “certe cose non possono accadere” in virtù della qualità del nostro sistema di vita e della tenuta del nostro tessuto sociale. A Perugia può accadere, ed è accaduto, tutto quello che può accadere in un’altra città. Ecco perché io ritengo che, benché le due cose non siano meccanicamente collegate, l’omicidio della ragazza inglese avrebbe potuto e dovuto essere l’occasione per fare un esame di coscienza su noi stessi, su cosa siamo diventatati. Su cosa è diventata la città innanzitutto, col suo centro storico desertificato e le periferie congestionate e il ripiegamento, in entrambe le aree, della aggregazione e della vita sociale che sono l’unico presidio serio contro la delinquenza. Una riflessione su quello che noi consideriamo essere gli studenti; e, al proposito, c’è un’efficacie espressione perugina: una “machinetta per fa’ i soldi”, senza alcuna proposta di circuiti alternativi alla cultura dello sballo, che invece potrebbero essere messi in campo da una collaborazione tra istituzioni, associazioni e imprenditori locali. A Perugia c’è bisogno di una svolta nelle politiche amministrative; sarebbe giusto “ripensare” la città; invece l’idea prevalente è quella di voler proseguire, cocciutamente, sulla vecchia strada. Non condivido affatto l’enfasi che è stata posta nella presentazione del progetto urbano di ristrutturazione di Monteluce. Al proposito ho molti dubbi da proporre, in modo sul serio interrogativo, per avviare una discussione che, spero, possa essere ripresa in Consiglio comunale, che dovrà prendere decisioni al riguardo. Il primo è riferito alla viabilità. Può quello che nello studio progettuale viene presentato come un nuovo “polo di sviluppo” della città (imponente cubatura, grossa volumetria commerciale, migliaia di nuovi residenti o frequentatori) essere “servito” da una viabilità (la vecchia via Eugubina e l’angusta e contorta via Dal Pozzo) che già oggi va spesso e volentieri in tilt? Non è eccessiva la previsione di nuovi grossi complessi residenziali a prezzi prevedibilmente elevati (30mila metriquadrati di edilizia cosiddetta “libera”, a fronte di appena 7 mila di “convenzionata”) col rischio di costruire una nuova via del Bellocchio, cioè centinaia di appartamenti sfitti, invenduti o inutilizzati in una città che ne è gia piena? Il progetto prevede un “commerciale” di 6mila e cinquecento metri quadri (un po’ meno, per dare un’idea, dell’ipercoop di Collestrada): non è una previsione sovradimensionata tenendo conto che Monteluce è già ricca di una rete di negozi che, con la chiusura dell’ospedale e la nuova concorrenza, possono rischiare, in gran numero, il collasso? Un’ottica realistica di riqualificazione dell’area, nell’ambito del reinsediamento abitativo nel centro storico, avrebbe consigliato un progetto con rapporti percentuali invertiti tra edilizia privata e quella convenzionata (per rendere possibile a prezzi contenuti l’ingresso massiccio delle famiglie, con riferimento particolare alle giovani coppie), un ridimensionamento dell’area commerciale a vantaggio di altri servizi di carattere sociale, culturale e scientifico e l’affermazione assoluta del principio secondo cui l’adeguamento infrastrutturale (cosa mi rendo conto non facile in quella zona) deve precedere le costruzioni. E’ giusto lamentarsi con chi parla troppo male di noi. Ma per togliergli la parola dobbiamo anche fare qualcosa di nuovo per la nostra città. Condividi