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di Isabella Rossi Claudio Giacometti è disegnatore alla Nestlè ed è nato a Pretola, sulla riva destra del fiume Tevere, in prossimità del quale sorge la Torre, un possente mastio a pianta quadrata del XIV secolo che nel 1439 entrò a far parte dei possedimenti dell’Ospedale di Santa Maria della Misericordia di Perugia. Da sempre la Torre è al centro della vita del paese e il suo recupero fu l’idea che nel 2003 unì Claudio e un gruppo di cittadini. Ma se per il restauro della bellissima Torre occorre un’ingente cifra, non disponibile al momento, altre molteplici attività sono state messe in atto da allora. L’amore per la propria terra e tanta buona volontà hanno reso possibile, infatti, il recupero di un bene altrettanto prezioso: l’identità dei luoghi legati saldamente alla storia dei loro abitanti. I percorsi, i mestieri, gli oggetti c’erano ma non erano più visibili. Sepolti da nuove abitudini e dai grandi cambiamenti della storia, come pezzi di un puzzle in attesa di essere ricomposto. Ed è stato con il contributo di Elda Giovagnoni, classe 1925, che la storia del paese ha cominciato a tornare alla luce. Dalle sue memorie sono affiorati luoghi, le persone e un sentiero “la Corta” che univa Pretola a Perugia. “La mia bisnonna, la mia nonna e mia madre”, racconta Claudio, “hanno percorso durante gli anni della loro vita quel sentiero.” Allora l’economia del paese si reggeva grazie all’importante manodopera delle lavandaie. Il loro duro lavoro cominciava la domenica, quando le donne arrivavano a Porta Pesa e a Monteluce per prelevare i fagotti, i quali venivano trasportati in paese dai carrettieri e riaffidati alle cure sapienti delle lavandaie. Occorreva cifrarli con del filo perché ogni famiglia potesse conservare i propri e la domenica sera cominciava l’ammollo. Si proseguiva il lunedì con lavaggi fatti in scantinati e fondi utilizzando le “fornacette”, rudimentali forni a legna, mentre i più agiati avevano il bollitore. Per riscaldarli veniva prelevata la legna del fiume, i “fucelli” i “ticchiarelli”o la “potuma, e poi messa ad asciugare. Il sapone era fatto con grasso animale e profumato con rami di alloro. La cenere, setacciata, veniva messa a strati con i panni in una tinozza con il buco sul fondo, da qui il termine "bucato", oppure miscelata prima con un po' di acqua calda. Dopo l’ ammollo dal buco si faceva uscire l’acqua saponata e messa a scaldare di nuovo veniva poi ributtata sui panni. L’operazione veniva ripetuta varie volte. Il martedì, finiti i cicli di prelavaggio, i panni venivano portati al fiume per il lavaggio vero e proprio. Inginocchiate sulle rive, armate di pezzi di sapone e spazzole le lavandaie passavano giornate intere ad ottemperare a quel duro lavoro. Ognuna aveva il proprio posto. Il mercoledì era giorno dei lunghi filari di panni stesi ad asciugare, che come testimonia una suggestiva foto d’epoca, ridisegnavano le colline intorno al fiume. E quando la nebbia saliva su occorreva spostarsi a S. Petronilla più asciutta e ventilata. Il giovedì le lavandaie ripartivano alla volta di Perugia, con i panni asciutti e profumati, e accuratamente avvolti nei loro fagotti cifrati trasportati in piazza dai carrettieri. Una volta sul posto con il fagotto sulla croia, in testa cioè, o in braccio le donne riconsegnavano puntuali alle famiglie perugine i loro indumenti. La scrupolosa raccolta delle memoria e degli oggetti, l’identificazione dei luoghi e dei nomi è confluita in una bellissima esposizione sostenuta dall’Associazione per l’Ecomuseo del Fiume e della Torre di cui Claudio è presidente. Gli Ecomuseo sono una realtà nuova in Italia, ma una legge regionale del 2007 ne sancisce l’istituzione anche in Umbria. La differenza principale dai musei contadini è che gli Ecomusei non si occupano semplicemente di censire gli oggetti del passato ma di riconnettere le memorie umane con i luoghi e i mestieri ricreando il contesto originario. Un lavoro, perciò, sempre in divenire che ripercorre l’antropizzazzione del paesaggio mettendo in luce i vari stadi fino a giungere a giorni nostri. La fervente attività svolta dai membri dell’associazione, che usufruisce del prezioso apporto di Graziano Vinti, autore del libro “Storie lunghe un fiume” è autofinanziata. Per accedere al riconoscimento regionale che dovrebbe mobilitare i finanziamenti pubblici, è necessaria, tuttavia, la presentazione di uno studio di fattibilità. Oltre alla memoria gli Ecomusei sono destinati a contribuire notevolmente allo sviluppo sociale, economico e turistico dei luoghi. Condividi