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di Isabella Rossi La crisi economica che l’Italia sta attraversando può essere risolta incentivando l’occupazione femminile. A questa conclusione non sono giunte associazioni cosiddette “di parte”, quelle che tutelano e promuovono i diritti delle donne, ma un economista, Maurizio Ferrera. La tesi centrale del suo saggio “Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia” è appunto quella che l’aumento dell’occupazione femminile avrà effetti positivi sull’economia del paese e sul tasso di natività. Non è solo l’Europa, dunque, ad intimare all’Italia di raggiungere un tasso di occupazione femminile di almeno il 60% entro il 2010, per evitare di compromettere la competitività italiana ed europea, ma sembra che anche in suolo italico stia maturando una consapevolezza del fenomeno. Puntare sulle donne non è una novità, del resto. E’ proprio la vocazione imprenditoriale femminile l’unica garanzia richiesta da una banca, la Grameen Bank, le cui clienti nel 94% dei casi sono donne povere che per l’accesso al credito non hanno altro da offrire che il proprio potenziale. La banca non è in perdita e nel 98% dei casi le clienti sono in grado di ripagare il credito che è stato loro concesso per sviluppare attività imprenditoriali. Paradossalmente in Italia, dove la possibilità di finanziare le microimprese femminili dovrebbe essere notevolmente facilitata rispetto ai paesi del terzo mondo, l’accesso al credito, come quello a posti di rilievo in genere e in particolare nei consigli di amministrazione di società quotate in borsa, per le donne è particolarmente difficile. Ma in un paese dove solo 46,2% delle donne sono occupate, mentre 10 milioni in età lavorativa hanno gettato la spugna non riuscendo più a entrare nel mercato del lavoro, l’occupazione femminile è un’emergenza assoluta. E non solo per questioni di pari opportunità, bensì per motivi strategici. Per Alberto Alesino, economista italiano, professore ad Harvard e Cambridge e Andrea Ichino, professore straordinario di Economia all’Università di Bologna, una minor tassazione dei redditi delle donne è il modo più sicuro per incentivare l’occupazione femminile. A ciò sembra complementare la proposta di Ferrera che ritiene che una maggior occupazione femminile sia possibile soprattutto svincolando la donna dai lavori di cura gratuiti. Bastano 2 miliardi, secondo l’economista, per creare una rete di servizi all’infanzia e alla famiglia. Uno start up per dare vita ad un network di imprese innovative, come ne esistono già in Francia, capaci di farsi carico di tutti quei problemi relativi a casa e famiglia di cui oggi, gratuitamente, si occupano le donne a danno dell’economia del paese. Infatti proprio un maggior reddito delle donne che, come ci informa proprio in questi giorni una campagna promossa da La7, corrisponde mediamente alla metà di quello degli uomini e una rete di servizi in grado farsi carico dei lavori di cura avrebbero un effetto molto positivo sull’economia stagnante del nostro paese. Per ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro, secondo Ferrera dunque, si possono creare fino a 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi esternalizzati. E per 100.000 donne assunte 15.000 posti di lavoro in più e una crescita del Pil pari ad un terzo di punto. Anche Paola Profeta, nota ricercatrice bocconiana, individua nella politica dei servizi, negli incentivi alle imprese che assumono donne e nell’introduzione del congedo esclusivo per i padri, tre manovre necessarie che la politica deve mettere in atto riconoscendo il “lavoro delle donne” come una priorità. Se da un lato le tesi dei valenti economisti sembrano folgoranti qual è stata la risposta della politica in Italia, in questi giorni di campagna elettorale? Condividi