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PERUGIA - Leonardo Caponi, esponente della sinistra, ex senatore, impegnato in associazioni cittadine, segue attentamente i problemi di Perugia. A lui rivolgiamo alcune domande. Caponi, nei giorni scorsi lei, come socio dell’Associazione culturale S. Susanna, si è schierato contro il progetto di ristrutturazione del Teatro Turreno; perché? Perché penso che sia possibile individuare un progetto di riconversione del cinema (che è un “luogo” cult della nostra città) meno ambientalmente e culturalmente impattante e più consono alla vocazione del nostro meraviglioso centro storico, che non è certo quella di ospitare un autosilo a 20 metri dal Duomo, nel “cuore del cuore” di Perugia. Mi sembra un errore, dopo tutti i soldi che si sono spesi per il minimetrò costruire nuovi parcheggi al centro che, anche se sotterranei e riservati ai residenti, finirebbero con l’attrarre nuovo traffico. Mi sembra che questa scelta confermi come la nostra amministrazione (poco “riformista” perché si limita a seguire e incentivare le spinte spontanee del mercato) abbia una idea sbagliata della nostra città. Perugia ha seguito un modello di sviluppo sbagliato? Si, negli ultimi anni si. Si è consolidata una abnorme espansione “esterna” della città, per grandi volumetrie urbanistiche e commerciali che ha prodotto la desertificazione del centro storico e la congestione di molte periferie con effetti similari sulla disgregazione sociale. Nel centro (che è concepito come un bene da vendere, non da vivere) non ci sono più famiglie e attività e lo spazio, come sempre avviene, è stato riempito, in troppi casi, da delinquenti e spacciatori. Attenti perché, in queste condizioni, anche il Minimetrò invece che portare gente può contribuire al suo esodo. Anche sulla presenza degli studenti ci sarebbe poi da riflettere. E cioè? Mi viene da citare una tipica espressione perugina: “’Na macchinetta per fa’ i soldi”. Ecco, noi immaginiamo così gli studenti. Di conseguenza, al centro e altrove, non ci sono circuiti alternativi alla cultura dello sballo. In molte città europee musei, biblioteche, librerie rimangono aperte fino a notte fonda. Perché a Perugia non è possibile? Perché istituzioni e imprenditori non collaborano? Perché, per dirne una, all’ex cinema Lilli o allo stesso Turreno, invece dei parcheggi, non si realizza una grande Casa della gioventù e dell’accoglienza? E in periferia? I nuovi grandi poli di sviluppo imperniati sulla proliferazione di ipermercati e supermercati (potrà un’area come il perugino “reggerne” tanti?) hanno sconvolto anche la tradizionale tenuta del tessuto sociale delle nostre frazioni. Perugia si presenta, a mio giudizio, come una città “disarticolata”, senza un centro capace di produrre identità, coesione, cultura e con periferie che vivono un rapporto di separatezza se non di vero e proprio conflitto. Se a Ponte S. Giovanni qualcuno cominciasse domani una raccolta di firme per fare il Comune, credo che avrebbe qualche buona probabilità di successo. Che fare? Non è facile e non è facile dirlo in poche battute. Secondo me la politica urbanistica diventa fondamentale per una nuova idea di città. Riportare famiglie e attività nel centro storico e nel nucleo urbano, bloccare nuovi megaedifici e nuovi megacentri commerciali, stabilire il principio che le strade vanno costruite prima di nuove abitazioni, dare priorità e investire nel recupero del patrimonio edilizio esistente che è di notevole consistenza, adottare politiche contro il caro affitti e il caro appartamenti e redigere un Piano per la casa alle giovani coppie, localizzato principalmente nel centro storico e nelle aree a rischio disgregativo: queste sono le cose da fare. Insomma quello che si sta progettando a Monteluce? No perché a Monteluce il rapporto tra appartamenti sociali e edilizia libera è di tre quarti per quest’ultima e un quarto per i primi, esattamente l’inverso di quello che dovrebbe essere. Se si vogliono riportare le famiglie (oltre all’esigenza primaria delle strade, punto dolente a Monteluce) ci vogliono appartamenti a prezzi accessibili, sennò c’è il rischio di aumentare la ricca collezione cittadina di case vuote o sfitte. E poi anche nella nuova Monteluce è previsto un “commerciale” enorme (6500 metri quadrati, un po’ meno, per dare un’idea, dell’Ipercoop di Collestrada) che rischia di mandare all’aria i numerosi negozi di quel quartiere che vivevano con l’ospedale. Condividi