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di Nicola Bossi Come si sta nelle nostre carceri, quelle umbre si intende? E' questa la domanda che ci siamo posti in molti, e non solo tra i giornalisti, all'indomani dell'incredile morte di Bianzino, un artigiano di Pietralunga un po' frichettone e un po' lupo solitalio. Colpevole di aver piantato della "maria" nel proprio orto e quindi portato con massima urgenza al Carcere di Capanne di Perugia e qui rinchiuso. Ma nel giro di poche ore Bianzino è morto per cause misteriose. Per percosse? E se questo sarà confermato chi lo ha ucciso? E soprattutto perchè? Ci sono dei testimoni in questa strana assurda vicenda - rievocata dalla moglie ieri sera su La 7 - che affermano di un incontro ravvicinato tra un secondino e l'uomo che chiedeva, in maniera disperata un qualche cosa. Forse dei farmaci perchè si sentiva male. Qualcosa è successo tra questo incontro. La magistratura speriamo lo accerterà. Capanne è un luogo strano: ci sono state evasioni forse agevolate da secondini (c'è un inchiesta su un fuggiasco omicida albanese), ci sono stati morti per droga (overdose) e c'è stata anche la morte di Bianzino. Ma il direttore afferma che non viene usata violenza che c'è massima disciplina e anche umanità. Bisogna credergli? In carcere, per fortuna o sfortuna non finiscono solo stranieri che non si ribellano o illetterati senza più credito. A Capanne nel 2006 ci è finito per 28 giorni uno dei più importanti giornalisti italiani e uno degli scrittori più apprezzati all'estero. Ovvero Mario Spezi, detto il mostrologo perchè negli anni 80 è stata una voce autorevole sull'inchiesta dei duplici omicidi fiorentini. Quasi per assurdo è finito in carcere perchè è sospettato dalla Procura di Perugia di essere uno dei possibili mandanti dell'omicidio di Franceco Narducci, inchiesta collegata con il Mostro di Firenze. Mario Spezi dunque dopo la sua permanenza a Capanne ha scritto un libro molto istruttivo per capire come si vive nel carcere perugino e utile anche per capire la morte di Bianzino. Il titolo: Inviato in Galera, un giornalista in manette. edizione Aliberti Editore Il rapporto con i secondini perugini è da subito conflittuale. Nessuna spiegazione dei tempi, delle stagioni e del cibo in carcere. Ispezioni corporali costanti anche dopo dei colloqui con avvocati e parenti altrettanto vigilati. Un clima talmente teso che fa dire al giornalista che non sono persone umane, ma una sorta di figure virtuali senza umanità con cui comunque bisogna confrontarsi. Il giornalista passerà tutta la Pasqua in galera: il giorno prima passa come al solito lo spesino - figura cerceraria importante perchè è quello che consente di acquistare cose fuori dal carcere: dalle sigarette al cibo - e gli consegna il da mangiare per il giorno e sullo stesso piatto mette anche quello per la domenica e per il lunedì. La mensa sarà chiusa per le festività. Incredibile. Spezi per tre giorni è costretto a non utilizzare nuovi vestiti, sanitari e persino un spazzolino da denti. Se i colloqui o gli interrogatori sono in prossimità dell'orario del rancio. Il carcerato assente non ha diritto al cibo. Persino quando i telegiornali dell'Umbria annunciato la sua scarcerazione e deve uscire, un secondino lo obbliga a pulire la propria stanza se vuole uscire. Lui si ribella. E l'altro richiede la cella alla faccia della sentenza emessa dal giudice. Ma questo è il clima di Capanne, secondo Spezi. Nel libro, come ho anticipato, c'è qualche elemento per capire il disagio di un Bianzino ansioso e malato rinchiuso nel suo primo giorno di cella. Un tunisino in crisi di astinenza per droga viene lasciato a se stesso. L'infermiere passa alle 3 di notte dopo cinque ore di agonia. E gli dà il malox che non serve a niente. Persino lo stesso Spezi per avere dei medicinali, durante la notte, deve aspettare la mattina dopo. Magari Bianzino ha chiesto un dottore è stato insistente, petulante, spaventato. E questo al secondino forse non andava bene. Che cosa è successo quella notte? Condividi