Il giorno in cui Nichi Vendola fu eletto alla presidenza della Regione Puglia pianse. «Di gioia?», chiesero i cronisti. «Dolore. Soffro perché entro nel cuore del potere». I numerosi detrattori del governatore giurano che piangerà presto per l'uscita da quelle stanze che tanto gli incutevano sofferenza e alle quali - aggiungono maligni - si sarebbe affezionato quanto un notabile democristiano. Certo è che l'avventura iniziata cinque anni fa sta volgendo al termine nel peggiore dei modi. Era partita come la «primavera» pugliese: l'estate non è mai arrivata. Era una rivoluzione sessuale. E di sessuale è rimasto solo lo scandalo. L'ultima inchiesta della Procura di Bari, che chiama in causa un paio di ex assessori della giunta Vendola, è la più purulenta per chi - come Vendola - ha costruito il proprio curriculum politico sulla rivendicazione della propria diversità: politica, sessuale, infine antropologica. Sesso ai politici in cambio di un posto di lavoro. Ma le escort non c'entrano. Qui si parla di madri di famiglia, disoccupate, aspiranti professioniste. In fila a Palazzo per ottenere un lavoro pagandolo in natura. Una barbarie che, se confermata, aprirebbe squarci da ottocento dickensiano, da cupo neorealismo postbellico. O peggio, da signoraggio feudale. E questo nell'unica regione governata da da un omosessuale fiero e dichiarato, capace di sfiorare la maggioranza assoluta dei consensi in una terra del meridione senza mai negare la propria identità, anzi esaltandola e sublimandola. Un outsider in grado di portare al governo in prima persona la sinistra radicale, battendo prima quella riformista alle primarie e poi, alle regionali del 2005, Raffaele Fitto, il golden boy del forzismo post-democristiano. Le ultime accuse, già di nuovo allargatesi sul fronte sanità, sono da provare, certo. I profili penali da definire. Ma la sostanza dei fatti sembra chiara. E il danno è devastante. Stavolta Vendola non ha preso le distanze dall'azione della Procura - com'era stato recentemente con la famosa lettera aperta in cui si provava a demolire alcune iniziative di un pm contro la sua ex giunta. Lettera fiera e dignitosa, però dannatamente affine nel metodo a certe intemerate berlusconiane contro la magistratura politicizzata. Stavolta il governatore ha risposto in modo diverso. Ha rilasciato dichiarazioni da crociata moralizzatrice. Ha parlato di bonifica necessaria. Non ci sta. Reclama l'opportunità di portare avanti il suo lavoro. Ma in queste condizioni sarà difficile avere una seconda chance. E questo al netto delle trame politiche in corso, e che vedono il destino del governatore in mano a Casini. Se l'Udc accettasse di esprimere un proprio candidato, alleandosi col centrosinistra, i giochi si chiuderebbero su questo schema. Ma non è questo il punto. Vendola sta pagando anche lo scotto di aspettative altissime. Quando alle primarie del centrosinistra sconfisse Francesco Boccia - il candidato sostenuto da Ds e Margherita - lui che aveva alle spalle solo un partito come Rifondazione comunista e qualche cespuglio rosso-verde pareva destinato a sconfitta certa con Fitto. S'inventò una campagna memorabile. «Diverso». «Estremista». «Pericoloso». Così strillavano gli slogan dei suoi manifesti 6x3, che sottraevano agli avversari i tipici argomenti usati contro di lui. Eletto nella tornata del famoso undici a due del centrosinistra sulla Casa delle libertà, si accompagnava a citazioni da papa Giovanni Paolo II, a licenze poetiche pericolosamente a cavallo tra sogno veltroniano e retorica bertinottiana, a dichiarazioni che rilette oggi, dopo le ultime notizie, dopo le settimane trascorse dal presidente ad azzerare giunte, a tampinare e licenziare assessori in odore di avviso di garanzia, suonano chissà se sincere, ma certo davvero beffarde: «Vorrei dire al centrosinistra che non bisogna avere paura di immettere nel circuito della politica la linfa vitale dei nuovi alfabeti che vengono dalle storie del femminismo, del pacifismo, dell'ecologismo, delle contestazioni giovanili, del nuovo conflitto di classe, del radicalismo cristiano». Il meno che si possa dire, dopo l'inchiesta sul sesso in cambio del lavoro, è che la politica pugliese non sembra aver imparato i nuovi alfabeti vendoliani. Ammesso che ne abbia mai conosciuto uno. Condividi