di Daniele Bovi “Il diritto di avere diritti è ciò che distingue il cittadino dall’apolide”. Vola alto citando Hannah Arendt e chiudendo con Tocqueville il presidente della Camera Gianfranco Fini, che oggi pomeriggio a Perugia ha tenuto un intervento alla tre giorni di studi delle Acli che ha come oggetto un tema caldissimo, ossia quello della cittadinanza. In sala, oltre allo stato maggiore del centrodestra umbro, c’erano anche gli onorevoli Sarubbi e Granata (uno del Pd e l’altro del Pdl), ossia i due firmatari del disegno di legge bipartisan che mira a riformare le regole della cittadinanza e che tante polemiche ha sollevato. Diegno di legge che, in sostanza, mira a sotituire lo ius soli allo ius sanguinis portando anche da 10 a 5 gli anni necessari per ottenere la cittadinanza. “Sul tema della riforma della cittadinanza – dice Fini – è necessario ragionare”. E allora ragiona il presidente della Camera, continuando nella sua lunga opera di ridefinizione e ricostruzione di una nuova cultura della destra. Distante anni luce dal leghismo al governo. E il tema della cittadinanza è proprio uno dei mattoni a cui Fini tiene di più per costruire la nuova casa di una destra moderna ed europea. “La sfida della riforma della cittadinanza si può vincere se esiste la consapevolezza della dimensione planetaria del fenomeno. E che va affrontata tenendo ben presenti i nostri valori legati ai diritti civili, sociali e politici”. Tendere all’integrazione, dice Fini, “è un dovere di tutte le politiche a meno c he non vi sia un approccio di autosufficienza che, personalmente, non condivido”. Traduzione: il nostro paese non può pensare di poter fare a meno degli immigrati. L’approccio corretto, secondo il presidente, è quello che non tiene d’occhio solo la questione della sicurezza, comunque di primaria importanza, ma quello che mette “l’integrazione dello straniero al centro del dibattito”. A monte, però, non può esserci un concetto rigido di cittadinanza, “che non favorirebbe l’integrazione”. E, soprattutto, a guidare questi percorsi ci deve essere una classe politica il cui sguardo non si limiti alle prossime elezioni amministrative. Una classe politica che abbia il coraggio, è questo il succo del ragionamento finiano, di concedere il diritto di voto agli stranieri regolari. “In altri paesi – ha detto Fini – questo si è fatto. E io lo giudico coraggioso”. Tornando poi sul progetto di legge Sarubbi-Granata, Fini ha detto come esso, nella sua relazione, metta al centro il concetto di cittadinanza come fattore di integrazione. E a supporto squaderna un po’ di numeri: “Nell’anno 2005 – dice Fini – l’Italia ha riconosciuto 19266 cittadinanze, la Francia 154mila, la Germania 117mila e la Spagna 48mila. Cioè, paesi con molti più immigrati di noi hanno scelto la strada della cittadinanza come la via per l’integrazione”. L’ultima parte del discorso Fini l’ha dedicata ai figli degli immigrati, citando un aneddoto salito agli onori della cronaca. Ossia quello della nazionale italiana juniores di cricket, composta perlopiù da figli di immigrati pachistani, bengalesi e cingalesi, che nei giorni scorsi ha conquistato il titolo europeo. “Li ho sentiti parlare loro sì in dialetto, li ho visti vestire la maglia azzurra e cantare l’inno italiano. Bene, perché questi ragazzini devono aspettare di compiere 18 anni per ottenere la cittadinanza quando sono e si sentono molto più italiani di altri?” Già, perché? Condividi