Da Liberazione del 23 agosto 2009: La tragedia nel canale di Sicilia è un pugno nello stomaco alla presunzione di chi ritiene la nostra una società civilizzata. È ora di smetterla di pensare alla nostra Italia come ad un paese civile. Nessuna politica sull'immigrazione può arrogarsi il diritto di lasciare morire in mare, al largo delle coste siciliane, 73 persone di nazionalità eritrea dopo avere inflitto loro tre settimane di pene infernali, che possiamo soltanto immaginare. Dalle prime testimonianze emerge che dopo una settimana sono finiti i viveri e i migranti hanno cominciato a morire, uno ad uno, in uno stillicidio che non ha mosso a pietà (e giustizia) nessuna delle imbarcazioni incontrate in questa lunga agonia. Siamo testimoni di un omicidio di innocenti con pochi precedenti e che - bisogna avere il coraggio di dirlo chiaramente - ha mandanti precisi. Noi ci occupiamo di quelli che muovono i fili della politica italiana: le forze di governo che hanno reso criminale l'irregolarità amministrativa, che hanno imposto con il pacchetto sicurezza un razzismo di Stato inedito, che hanno fatto del respingimento dei migranti alle frontiere con durezza inaudita il fiore all'occhiello della politica italiana nel Mediterraneo. Ha ragione la Conferenza Episcopale Italiana, dalla quale sono giunte ieri parole nette e inequivocabili: la strage dei migranti eritrei è un'offesa all'umanità. Per tutte queste ragioni è di estrema importanza la campagna lanciata ieri dal nostro giornale contro i festeggiamenti dei patti tra Italia e Libia in calendario a Tripoli il prossimo 30 agosto. Liberazione chiede un sussulto di mobilitazione delle «coscienze oneste»: siamo d'accordo, proviamo a coinvolgere tutta la sinistra, politica e sociale, proviamo a suonare la sveglia al Partito democratico che - anche su questo terreno - nel recente passato ha assunto posizioni in linea con quelle del governo. Ma attenzione agli epifenomeni eclatanti, che attirano l'attenzione dell'opinione pubblica sui risvolti trucidi e macabri offuscando la sostanza del problema. Dobbiamo riflettere su ciò che questi episodi disvelano. La nostra tesi è che il vero salto di qualità sul terreno della regressione a-democratica il nostro Paese lo abbia segnato, lo stia segnando, nella rottura del grande tabù dell'Italia repubblicana, il mito per mezzo del quale il nostro Paese in tutti questi decenni ha raccontato a se stesso di aver superato il fascismo, anzi di averlo metabolizzato come parentesi estranea rispetto alla progressività di una storia - quella nazionale - che avrebbe invece coinciso con l'affermarsi di libertà e democrazia. È il tabù, ora infranto, del razzismo e dell'istinto gerarchico. In due estati l'Italia è uscita dall'orbita della democrazia. L'estate scorsa il pacchetto sicurezza introdusse l'obbligo di schedatura per tutti i rom, indipendentemente dalla propria nazionalità. Nel frattempo - a dimostrazione che il razzismo di Stato alimenta e si alimenta in una spirale perversa con il razzismo popolare -, nelle periferie di Roma e Napoli successe che decine di donne e uomini assalirono con bottiglie molotov e bastoni quattro campi rom. Quest'anno il governo ha superato se stesso, approvando un pacchetto sicurezza semplicemente aberrante. Quanti saranno i ragazzi che, come Fatima (morta suicida nel giorno dell'entrata in vigore del reato di clandestinità), si uccideranno perché «terrorizzati dal pensiero di essere irregolari e di doversi separare dai familiari»? Quanti quelli che verranno estratti a forza dalle proprie case e consegnati alle forze dell'ordine dalle ronde fascistoidi (magari anche da quelle, come le "SSS" di Massa, che non si accontentano del fascismo e si rifanno esplicitamente alle unità paramilitari naziste)? C'è soltanto un modo per affrontare questa profondissima crisi democratica (la cui carica eversiva si rafforza proporzionalmente all'aggravarsi della peggiore crisi economica del secondo dopoguerra): affrontarla con radicalità e senza fare sconti. I lavoratori dell'Innse hanno avuto ragione di un padrone speculatore e di un consesso di livelli istituzionali cieco e sordo soltanto attraverso la lotta. Lotta di classe, solidarietà tra lavoratori, progettualità, messa in campo di prospettive di autogestione. Dal razzismo di Stato si esce stando a fianco delle rivolte dei migranti reclusi nei centri di identificazione ed espulsione di Milano, Modena, Torino, Gorizia, Lamezia Terme. Denunciandolo per quello che è, utilizzando parole all'altezza dello scempio a cui stiamo assistendo. Rimettendo in cima alla nostra agenda politica e sociale la lotta anti-razzista. Solo un Paese civile, libero, solidale può vedere accolte le istanze del movimento dei lavoratori. Senza la congiunzione della lotta dell'Innse (delle mille lotte dell'Innse che ci aspettano in autunno) e delle rivolte dei migranti, non c'è futuro. Né per gli uni, né per gli altri, né ovviamente - ma questa è la cosa meno importante - per tutti noi. Claudio Grassi - Simone Oggionni Condividi