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di Gian Filippo Della Croce ”Noi non riusciremo a capire che cos’è un libro, e perché un libro abbia il valore che ha per tante persone, se dimenticheremo quanto è importante per esso il suo corpo, l’edificio che è stato costruito per tenere insieme senza pericolo le sue righe di linguaggio. E’ vero che si può far parlare un libro attraverso le immagini del cinema o della tv, ma le parole su uno schermo hanno qualità virtuali ma non hanno materialità, sono solo ombre. Non aspettano di essere riviste, rilette: aspettano solo di essere rifatte, illuminate. Per richiamare un’immagine mediatica occorrono sistemi complessi, il libro invece non ha bisogno di nulla, basta tenerlo in mano per leggerlo, voltarlo e rivoltarlo a casa, su un autobus, sulla metro, in bagno, in cucina, sulla cima di una montagna, al mare, in barca, in auto, in coda all’ufficio postale, eccetera.” E’ l’appassionata orazione che lo scrittore americano William Gass svolge in favore del libro, affinché il libro resti com’è, ossia come l’abbiamo sempre conosciuto, fatto di copertine, pagine, indici, capitoli che ce lo fanno riconoscere ed amare. Ma dove avviene l’innamoramento? Ci sono nella società luoghi destinati a questa funzione: innamorarsi. Ci si può innamorare al cinema, in discoteca, alla scuola di ballo, ai giardini pubblici, a una festa, insomma in tutti quei luoghi dove è possibile incontrare l’altro o l’altra e se l’altro è un libro il luogo non può essere che uno solo: la libreria. La libreria come luogo dell’innamoramento, perché è là che si incontrano i libri ed è là che ci si può innamorare di loro a prima vista, subire il loro fascinoso richiamo che proviene dagli scaffali e dalle vetrine. E’ là che si può domandare al libraio (come al barista, all’amico, eccetera, si domanda di presentarci a quella/quello uomo/donna che ci interessa) di farci conoscere lui, il libro da cui ci sentiamo attratti, ascoltarne il consiglio, seguire il suo gesto solenne quando ce lo porge togliendolo da uno scaffale e affidandolo alle nostre mani emozionate e rimanere storditi dall’effluvio del suo inconfondibile profumo. Tutte cose che possono accadere in un luogo solo: la libreria, un luogo che per questo deve rimanere com’è, come il libro, un luogo che dove non c’è, deve esserci. Non si tratta certo, affermando questo amore, di voltare le spalle al progresso, di essere antiquati, di non riconoscere l’utilità dei grandi progressi delle tecnologie e delle comunicazioni, ma l’informazione non può e non potrà mai sostituire, rendere antiquata l’illuminazione, la conoscenza e l’esplorazione, dell’intelletto e dell’animo umano, che come tutti i lettori sanno può avvenire soltanto entrando in comunicazione con la parola scritta, trasportabile e fruibile all’infinito, contenuta nel corpo straordinario di un libro. Non lasciamo che l’incontro con lui, con il libro, possa diventare difficile venendo a scomparire lo scenario naturale: la libreria, sarebbe come reprimere la nostra capacità di amare. Nella mia veste di presidente regionale del Sindacato Nazionale Scrittori, un sindacato che difende i diritti sia degli autori che delle loro opere, cioè i libri, voglio chiarire che la nostra azione è incentrata nell’affermare una maggiore libertà per gli autori e per i loro libri. La libertà di scrivere e di pubblicare libri, la libertà di diffonderli, distribuirli e renderli soprattutto reperibili là dove avviene l’incontro con i destinatari finali: i lettori. Cioè la libreria. La parola libertà non è usata a sproposito, perché se è vero che oggi tutti possono scrivere quello che vogliono, è meno vero che tutti possano poi pubblicarlo ed è ancora meno vero che anche se pubblicato un libro possa incontrare il lettore nel luogo deputato, ovvero la libreria. Che nel contesto dello scenario di libertà che abbiamo qui più volte evocato soffre invece dei pesanti condizionamenti dell’industria editoriale, cosiddetta maggiore. Condizionamenti che impediscono ad esempio ad un libro edito da una casa editrice locale, di essere presente in libreria nel modo dovuto e per il tempo necessario ad incontrare il lettore. Il condizionamento dell’industria editoriale si è fatto sempre più pesante, le grandi case editrici, fra le quali esistono ormai numerose multinazionali, impongono le loro regole senza scrupoli di sorta, affermano la presenza delle loro catene di vendita in modo sempre più massiccio e con ciò restringono sempre più gli spazi di autonomia dei librai e la loro stessa sopravvivenza, insomma o si accettano le loro condizioni o si chiude bottega, ma molte botteghe (alias librerie), si sono chiuse a prescindere, schiacciate dalla concorrenza della “grande distribuzione” gestita dalle majors dell’industria editoriale. Siamo qui quindi a testimoniare il nostro interesse per una battaglia comune con i librai, una battaglia per la “libertà di incontro”, per quella possibilità di incontrare i lettori che solo librerie indipendenti possono offrire agli autori, a tutti gli autori che vogliono sottoporre al giudizio e al gradimento del pubblico le loro opere. Non ci sembra che questo diritto sia stato recepito nella proposta di legge sull’editoria che dovrà prima o poi approdare in parlamento, una proposta che premia ancora una volta le grandi concentrazioni editoriali. La libertà di scrivere, di pubblicare e di farsi leggere di fronte allo scenario attuale è sempre più utopica, così si danneggia il pluralismo culturale, forse per sempre, un avvenimento inconcepibile in una democrazia, la nostra, dove un terzo dei giovani non legge perché non apprezza o non conosce l’importanza dei libri o semplicemente perché “non ha tempo da perdere”. Dove circa la metà della popolazione non legge neanche un libro all’anno. Uno dei livelli di lettura più bassi della Unione Europea. L’editoria italiana ristretta ormai al duopolio Rizzoli – Mondatori, con la Feltrinelli a fare da terzo incomodo, sembra quasi non tenere in alcun conto questa preoccupante realtà, essa sta infatti restringendo sempre più gli spazi delle “opportunità” editoriali, cercando di assicurarsi una fetta della torta del mercato editoriale ormai dominato dalle majors americane, che utilizzano il mercato italiano per testare i libri dei loro scrittori esordienti per poi venderli al prezzo più alto nel grande mercato statunitense. Ormai l’industria editoriale nazionale non fa che pubblicare in prevalenza libri “offerti” dagli editori americani, restringendo quindi ancora di più i residui spazi per gli autori locali e i loro libri. Occorrerebbe anche qui, lanciare l’idea di un “commercio equo e solidale” del libro che salvaguardi produttori e distributori nei confronti delle grandi aziende editoriali, offrendo loro spazi e possibilità e salvaguardando il lettore, che è l’utilizzatore finale, dal “caro libro” che oggi affligge pesantemente il mercato editoriale italiano, a partire dai libri scolastici. Un’alleanza virtuosa fra produttori, distributori ed utilizzatori per una battaglia di libertà contro i poteri forti che comandano l’editoria, ineludibile, dal momento che loro (i poteri) sanno benissimo che nonostante i nuovi media , il migliore strumento di trasmissione del sapere e di molte altre cose tuttora esistente, è ancora oggi il libro. Condividi