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Tutto è in movimento o così sembra, la spettacolarizzazione mediatica della politica la fa da padrona, oscurando i problemi reali della gente in carne ed ossa. In quattro mesi è nato il PD, in due giorni dopo aver assistito a prove tecniche di realizzazione, vedi i circoli di brambilliana memoria, Berlusconi scioglie Forza Italia manda il frantumi la Casa delle Libertà e fonda il Partito del Popolo delle Libertà. Si aprono orizzonti nuovi, e con la prospettiva della riforma elettorale, le forze politiche si rimodellano e si aggiustano affinché le evoluzioni del quadro generale non mettano a repentaglio la propria esistenza e soprattutto il proprio spazio di agibilità. La sinistra, quella frastagliata, quella che crede che la politica ha ancora senso se è un mezzo per la trasformazione, quella che non è strutturata ma è presente nelle rivendicazioni territoriali ed è portatrice di nuovi bisogni, cosa sta facendo? Ormai sono mesi che si sperimentano “prove tecniche di aggregazione”, i protagonisti sono vari, dalle forze di sinistra organizzate a singole individualità o appartenenti al variegato arcipelago delle associazioni, i livelli investiti vanno dalla periferia al nazionale, dentro e fuori dalle istituzioni, tutti con grandi aspettative e la straordinaria giornata del 20 ottobre a Roma né è testimonianza. Ma la sensazione reale che ci pervade è un’altra, prevale l’attendismo, lo stare a vedere, la paura di perdere un qualcosa per un futuro incerto. È evidente che un processo di aggregazione a sinistra non può passare per una prova di semplificazione o meglio per aggiustamenti di mero ceto politico, ma non è neanche pensabile di subire gli eventi e mettere al primo posto l’autoconservazione. Il protagonismo di tutti, per un obiettivo unico e condiviso è l’elemento che deve prevalere in questa fase. Nessuna rendita di posizione è sostenibile, la realtà politica, i disagi, le forti contraddizioni che la maggior parte della gente vive quotidianamente spazzeranno via qualsiasi forma di ragguppamento conosciuto fino ad oggi. Vogliamo incidere nei processi di trasformazione, vogliamo essere punto di riferimento per dare risposte alle contraddizioni, l’autosufficienza deve essere messa in soffitta, con molta umiltà dobbiamo metterci in discussione. Dobbiamo ingegnarci, poiché se la forma partito che abbiamo conosciuto nel Novecento oggi non è più sufficiente a contenere tutto ciò che nella società è portatrice di idee alternative e di cambiamento, questo nuovo soggetto deve avere la pretesa di non far rimanere fuori nessuno. Riappropriarsi nella quotidianità della pratica della partecipazione è l’unico antidoto che abbiamo per contrastare l’antipolitica, o peggio ancora, l’americanizzazione della politica. Dobbiamo accelerare, far fare un balzo a un processo che deve essere sostenuto sia dal basso che dall’alto, poiché la spinta territoriale è l’antidoto e contemporaneamente il carburante per sostenere i gruppi dirigenti, che spesso tendono a rallentare. Partire dai territori soprattutto, individuare temi condivisi di rivendicazione, coinvolgendo la pluralità di soggetti in campo, prevedere forme concrete di organizzazione, è questo che ci chiede la nostra gente. Non capirebbero l’ulteriore ritardo e come titolava Liberazione il giorno dopo la manifestazione del 20 ottobre, “possiamo deluderli?”. Il treno è partito, ha più stazioni e le porte non sono chiuse, anzi, tutt’altro. Condividi