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ROMA - E' entrata in magistratura con il primo concorso aperto alle donne più di quarant'anni fa; venti anni fa è stata la prima “toga in rosa” a entrare in Cassazione e ora è la prima donna ad arrivare ad un posto di comando della Suprema Corte. E' una carriera di primati quella di Maria Gabriella Luccioli, 68 anni, che oggi il plenum del Csm ha nominato all'unanimità presidente di sezione in Cassazione. E segna la storia della difficile affermazione delle donne in magistratura: ormai 4 giudici su 10 sono donne (3812 su 9150) e all'ultimo concorso per uditore giudiziario si è registrata una netta prevalenza femminile tra i candidati (il 60%); ma nonostante questi numeri solo il 4% (22 contro 440 uomini) arriva agli incarichi di vertice degli uffici giudiziari. Era il 1965 quando la Corte costituzionale aprì il concorso per l'accesso in magistratura alle donne, cancellando la norma che richiedeva tra i requisiti per partecipare l'essere “cittadini italiani di sesso maschile”. E lei era tra le otto che lo superarono e che cominciarono una difficile carriera in un universo dominato e pensato solo per gli uomini. “E' stato un cammino in salita perché si trattava di costruire un modello diverso di giudice, anche se sarebbe stato più facile introiettare quello già esistente, tutto al maschile - ha raccontato quando tre anni fa partecipòai festeggiamenti del quarantennale dell'ingresso delle donne in magistratura- Eravamo un'avanguardia, oggetto di attenzione e dunque ancora più attente a non sbagliare mai e ad essere sempre aggiornate”. Un impegno peraltro vissuto, confidò allora, “con il senso di colpa per gli spazi negati ai figli, alla famiglia”. Sposata con un ingegnere, originaria di Terni, madre di due figlie (una è un avvocato, l'altra un magistrato), Luccioli ha cominciato la carriera a Roma, prima come pretore poi come consigliere della Corte d'appello. Nel 1988 è stata la prima delle donne a indossare l'ermellino: prima come applicata al Massimario, poi come consigliere della Cassazione. E in questi venti anni con le sue sentenze ha quasi riscritto il diritto di famiglia: è stata lei a sollevare la questione di costituzionalità delle norme che impongono il cognome dei padri ai figli, come pure a stabilire che l'ex marito deve pagare l'asilo nido per il figlio se la mamma lavora, e le spese straordinarie per la prole, anche se non concordate con l'ex coniuge. Condividi