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Per capire le massicce resistenze contro l’attuazione di quei piani regionali di rifiuti che non contemplano l’uso di inceneritori è basilare avere chiaro quale giro d’affari sia ancora possibile in Italia grazie al “business” dell’incenerimento. Vediamo, dunque, come funziona il lucroso sistema di finanziamento degli inceneritori. Gli incentivi agli inceneritori sono di due tipi, il primo, il cosiddetto CIP 6, prevede un pagamento maggiorato dell’elettricità prodotta per 8 anni. Il secondo il riconoscimento di “certificati verdi” che il gestore dell’impianto può rivendere per 12 anni. Il costo del CIP6 viene aggiornato trimestralmente e, se nel 3° trimestre 2007 era di circa 54 €/MWh, per il 4° trimestre è cresciuto a 62,60 €/MWh. Chi sostiene tali costi? Gli utenti che nelle loro bollette sono costretti a pagare una tassa per le fonti rinnovabili, anche se come vedremo gli inceneritori non possono essere assimilati a tali fonti. E quanto può guadagnare il gestore di un impianto attraverso questo tipo di finanziamento? Tanto davvero. Per l’inceneritore di Brescia, a quanto risulta, la società di gestione (ASM SpA) ha ricevuto nel 2006 contributi CIP 6 per oltre 71 milioni di euro. Nel Belpaese, dunque, i costi dello smaltimento dei rifiuti tramite inceneritori con recupero energetico, sono ancora indirettamente sostenuti dallo Stato sotto forma di incentivi alla produzione di energia elettrica. Questo solo perché l’Italia, in violazione alle norme europee, considerava la produzione di energia tramite incenerimento assimilata a quella prodotta dalle fonti rinnovabili, per mezzo di impianti idroelettrici, solari, eolici e geotermici. La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici erroneamente considerati "fonte rinnovabile". L’Italia, di conseguenza, si è vista costretta dalla Commissione europea ad annullare tali incentivi nella finanziaria del 2007. Il testo dibattuto ed approvato in Parlamento, per eliminare l'infrazione alle norme europee, escludeva tutte le fonti "«assimilate»" dagli incentivi alle rinnovabili, concedendo una deroga solo agli impianti «già in funzione». Il 7 febbraio 2007 è stato presentato dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge (n. 1347) passato all'esame delle Commissioni Industria e Ambiente del Senato e finalizzato a limitare gli incentivi «ai soli impianti realizzati e operativi» come originariamente previsto dalla finanziaria 2007 e non come si era tentato di fare con il maxi-emendamento, estendendolo anche agli Impianti autorizzati e non ancora funzionanti. La norma è stata infine approvata nella finanziaria 2008. Al momento, dunque, sono ben 129 gli impianti che beneficiano del CIP 6; per 29 il periodo di incentivazione è già scaduto. Gli impianti autorizzati, ma non operativi, sono 16, di cui 11 sono “termovalorizzatori”, - termine equivoco usato spesso erroneamente in sostituzione di “inceneritori a recupero energetico” -, tra cui gli inceneritori di Torino e di Roma, 4 impianti in Sicilia, 2 impianti in Campania (fra cui Acerra). Sembra dunque che, nonostante la situazione sia ancora lucrativa per i gestori degli impianti di incenerimento, le cose siano destinate a cambiare in futuro. Il totale degli incentivi CIP 6 erogati si ridurrà progressivamente fino a esaurirsi nel 2015, o al più tardi nel 2021. Per cui il costo dell'incenerimento dei rifiuti dovrebbe nel tempo aumentare di circa 50 €/t, rendendo il riciclaggio decisamente più “lucrativo”. In conclusione, sembrerebbe proprio che senza quei finanziamenti, considerati illeciti dalla Commissione europea, la moda dell’inceneritore sarebbe passata da un pezzo anche in Italia, facilitando il percorso alla vera valorizzazione del rifiuto, quella che permette di smaltirlo attraverso il riciclaggio, che a sua volta genera realmente valore aggiunto sia in termini ambientali che economici. Condividi