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di Nicola Bossi Ci vuole tanta dignità e umanità per non odiare, per non pensare solo alla propria tragedia personale e per non sprofondare nella legge del profitto post-mortem. Ci vuole tanto cuore come ha dimostrato Fiorella Coletti, vedova di Giuseppe uno dei quattro uomini morti nella raffineria di olio di Campello. Lo ha dimostrato prendendo la parola ad una anno esatto dalla morte del suo uomo. Nello stesso luogo della tragedia. Fiorella ha parlato di una giustizia che va più in alto del risarcimento economico, dell'inidividuazione del o dei colpevoli. Se ci permetteranno i nostri lettori persino più in alto della giustizia divina, consolatoria ma non istruttiva. Fiorella ha detto con compostezza: "E' assolutamente necessario sapere la verità di questa storia per evitare che in altri luoghi di lavoro situati in altre città possa di nuovo verificarsi un'altra tragedia. Nessuno parte da casa per andare a morire". Ecco il senso più alto della giustizia del lavoro: sapere la verità per fare in modo che non avvengano più questi fatti delittuosi. Tutto qua. La magistratura farà il suo corso: dirà chi è il colpevole e cosa è successo. Ma questo è un atto che deve essere modulato con la convinzione di Fiorella. La vita a Campello non è più la stessa dopo quella tragedia. La vita in Umbria che conta già venti morti sul lavoro non è più la stessa da tempo. Ormai ci si appella ad una sola cosa: che i colpevoli paghino e siano di monito agli altri che non vogliono fare la stessa fine. Condividi