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di Isabella Rossi Era il 20 febbraio del 1963 quando “Il Vicario” venne rappresentato per la prima volta al “Theater am Kurfürstendamm” di Berlino ovest. Il dramma di Ralf Hochhuth suscitò da subito un ampio dibattito nella Germania Federale per lo scottante tema trattato: “il silenzio” di Pio XII nei confronti dell’olocausto, lo sterminio da parte dei nazisti di 6 milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale. Da allora la fama dell’opera crebbe in tutta l’Europa. Ben 38 nazioni la portarono in scena. In Italia, al suo debutto nel 1965, il pezzo venne sottoposto a censura con l’irruzione in teatro della polizia. Secondo Hanna Arendt, la stimata filosofa e storica tedesca di origini ebraiche, la domanda sul “perchè Papa Pio XII non avesse mai pubblicamente protestato contro la persecuzione e poi lo sterminio di massa degli ebrei” era legittima. Il Papa “conosceva le circostanze e nessuno, per quanto ne sappia, l’ha mai negato” scrisse nell’ottobre del 1963 in una lettera indirizzata alla scrittrice statunitense Mary McCarty. Comprendere le ragioni del silenzio è il tentativo su cui si snoda tutta la trama del dramma di Hochhuth. Ma “il Vicario” non è un’opera anticlericale. Coscienza e calcolo politico, viltà e solidarietà verso i perseguitati non sono sottoposti ad un giudizio astrattamente laico bensì ad uno intimamente cristiano. L’incontro tra l’ufficiale delle SS Kurt Gerstein (Matteo Caccia) e Padre Riccardo Fontana (Marco Foschi), il giovane sacerdote gesuita della segreteria di Stato vaticana, è un incontro fra due uomini mossi da una profonda fede nella giustizia divina, la stessa che li spingerà nella realizzazione di un piano eversivo. L’ufficiale tedesco “tradirà” nascondendo un ebreo nel suo alloggio, il gesuita offrendogli la sua tonaca e il suo passaporto. Entrambi individueranno nella “parola cristiana”, ad opera del Sommo Pontefice, l’unico mezzo per fermare la Shoa. La loro istanza sarà coperta dal silenzio ma nemmeno questo causerà la fine della fede. Al cinismo del “medico” di Auschwitz (Cinzia Spanò), che non crede più in un Dio capace di amare il genere umano, Padre Fontana, tratte su di sé le estreme conseguenze del messaggio evangelico, opporrà la sua presenza “in vece del Vicario di Cristo”, là dove dolore e sofferenza maggiormente lo reclamano. Dal riadattamento di Rosario Tedesco traspare la volontà di abbandonare in parte lo spirito documentaristico dell’opera originale. Errori e colpe sono consegnati alla storia. I tagli favoriscono un più incalzante ritmo narrativo e il crescendo di pathos rende trasparenti quelle ragioni del cuore, estranee ad ogni calcolo politico, ma capaci da sole di muovere Padre Riccardo al miracolo della carità cristiana. La rappresentazione del celebre pezzo, dopo più di quaranta anni di silenzio, si deve all'iniziativa di un gruppo di giovani attori: Matteo Caccia, Marco Foschi, Annibale Pavone, Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò e Rosario Tedesco che ha curato testo e regia. In Umbria lo spettacolo è approdato il 17 marzo a Palazzo Trinci di Foligno dove rimarrà fino al 19. Dal 20 al 22 marzo sarà al Teatro C del Videocentro di Terni e dal 24 marzo al 5 aprile al CUT, il Centro Universitario Teatrale di Perugia. Condividi