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di Eugenio Pierucci Perugia - In tutto il 2004 furono vennero costruiti in Italia appena 1.900 alloggi di edilizia pubblica: governava Berlusconi e a lui, che faceva collezione di ville da mille e una notte in ogni parte del mondo, sfuggivano, evidentemente, le gravi conseguenze che questa omissione avrebbe procurato a milioni di famiglie italiane. Di più non si poteva fare con appena il 3,9% del volume costruttivo che in quell’anno godeva in qualche modo di una contribuzione pubblica, rispetto al 20% del 1984. Per fare un paragone basti considerare che l’anno successivo, il 2004, in Inghilterra si costruivano 30.000 di questi alloggi, ed in Francia più del doppio, esattamente 70.000. Anni ed anni di assenza pubblica in un settore così importante per la vita dei cittadini, con risorse che venivano via via ridotte dalla rinuncia alla lotta all’evasione e della necessità di sacrificare il poco che restava sull’altare della riduzione irpef per le famiglie più agiate, hanno spinto il nostro Paese nel bel fondo delle classifiche europee per quanto riguarda la percentuale delle abitazioni in affitto sul totale di quelle occupate: fra i 25 Stati che facevano parte della Ue prima dei recenti allargamenti all’est, con il 18,8% ci piazzavamo nel 2005 al terz’ultimo posto. Dietro noi solo Irlanda (17,8% e Spagna (11,4%) Ci stavano davanti perfino Grecia (19,7%) e Portogallo (20,9%). Per non parlare dell’abisso che ci separava da Germania (57,3%), Olanda (47,3%) e Svezia (41%) che occupavano i tre gradini del podio. Questa drammatica situazione sta alla base dell’alto costo dei fitti privati che si è determinato da noi e che ha avuto una forte accelerazione negli anni più recenti, dopo l’infausta cancellazione di ogni tutela a salvaguardia degli inquilini (equo canone e via dicendo). Inquilini che, malgrado il crescente fenomeno delle vendite di case che ha progressivamente incrementato il numero dei proprietari, restano comunque tanti: stando alle stime dell’Ance, ovvero dell’associazione dei costruttori edili (una fonte quindi non sospetta) che ha elaborato i dati in possesso della Banca d’Italia e dell’Istat, nel 2006 erano ancora 4 milioni circa, la parte economicamente più debole del corpo sociale italiano che, come abbiamo visto, è stata interamente abbandonata a sé stessa. E, siccome i loro scarsi redditi (salari e pensioni, quando va bene) hanno perso consistentemente il loro potere d’acquisto (è recente il dato medio stimato di 1.900 euro annui in meno per famiglia nell’arco degli ultimi 5 anni), ben si comprende come siano particolarmente le famiglie più povere in assoluto a soffrire maggiormente questa situazione. Anche a tale riguardo ci aiutano le statistiche dell’Ance che ci dicono che sui nuclei familiari con reddito annuo fino a 10.500 euro, che in Italia sono oltre 763.000, il canone per la casa incideva per il 32,9%, mentre per quelli compresi nella fascia di reddito annuo 10.500-21.000 euro (più di 2 milioni), l’incidenza media era del 23,5%. Ora sappiamo bene che la media si calcola considerando tanto i nuclei familiari che si collocano nella parte più bassa della fascia di reddito considerata, che quelli che si collocano invece in cima, ciò vuol dire che nel primo caso il peso della casa si fa per loro tremendamente opprimente. Ma il modestissimo peso dell’edilizia pubblica italiana (appena il 4,5% del totale contro il 34,6% dei Paesi Bassi) si avverte più in generale nel mercato degli alloggi, dove i prezzi sono letteralmente volati finendo per comprimere pesantemente i redditi di chi si è spinto a comprare una casa ed a contrarre un mutuo per poterlo fare: tanto per dirne una, se la rata annua versata per rimborsarlo incideva per il 39,1% su un reddito annuo di 11.235 euro, nel 2004 questo peso era già salito, in virtù del forte incremento dei tassi che c’è stato, al 44,2% nel 2007. Ciò spiega l’incremento nello scorso anno del 24% delle famiglie che non ce l’hanno più fatta a pagare il mutuo e che rischiano di vedersi sequestrare l’abitazione sulla quale avevano riposto tutti i loro sogni. Stando così le cose c’è da chiedersi come faremo, se non interverranno urgenti misure correttive, a dare una casa a chi ancora non se la può permettere: i giovani “bamboccioni” che sono costretti a restare in famiglia perché con i loro guadagni da co.co.co. non possono costruirsi una vita autonome (nella fascia d’età 18-24 anni vive fuori casa solo il 3% dei nostri ragazzi contro una media Ue del 29%); gli immigrati al nero che abitano per forza di cose nelle baracche. Con l’ultima Finanziaria, tanto osteggiata dal centro destra che si riprometteva di dare la spallata definitiva al governo Prodi, si prevede la consegna alle Regioni, entro quest’anno, di 550 milioni di euro per riqualificare 20.000 alloggi. E’ il primo piccolo passo per una inversione di tendenza. Condividi