lavoratori laureati.jpg
ROMA - Ormai non si salva più nessuno, la crisi economica colpisce pesantemente non solo gli operai che perdono in massa il lavoro, ma anche i laureati, persino quelli in possesso del pezzo di carta che un tempo non lontano veniva considerato "forte" perché assicurava immediatamente un lavoro di prestigio, sicuro a ben retribuito per cui valeva la pena impegnarsi negli studi. A dircelo è Almalaurea, il consorzio universitario che coinvolge 52 atenei italiani, secondo la quale sono sempre meno le imprese che si rivolgono alla sua banca dati dove sono contenuti i curriculum di un milione e duecentomila laureati. Un grande bacino di talenti che in un anno ha ceduto alle imprese ben 460 mila profili di studenti usciti dalle aule universitarie. Rispetto al 2008, nei primi due mesi di quest'anno le richieste avanzate dai direttori del personale sono scese del 23 per cento, un calo vistoso che, come abbiamo detto, ha colpito tutti anche quei laureati che siamo abituati a considerare i privilegieti perché le imprese li consideravano i più adatti a soddisfare le loro esigenze. Anzi, percentualmente sono stati proprio questi a soffrore di più, visto che quelli del gruppo economico statistico hanno subito una flessione del 35 per cento, mentre la domanda di ragazzi e ragazze con studi di ingegneria alle spalle è scesa del 24 per cento. Ma c'è di più, perché dal 2001 gli occupati con laurea sono in costante lenta diminuzione essendo il loro numero diminuito del 6,1%. Anche questo ed altri dati sono contenuti nel rapporto Almalaurea, il dodicesimo della serie, che sarà presentato a Bari il 12 marzo prossimo, sulla condizione lavorativa di 300 mila laureati di 47 università italiane. "Ciò che deve essere scongiurato - ha commentato Andrea Cammelli, direttore del consorzio - è che una preziosa e qualificata risorsa rischi di essere schiacciata fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca priva di mezzi" e, invece, negli ultimi sette anni, dicono gli autori del Rapporto, la percentuale dei laureati (del vecchio ordinamento) che ha trovato impiego, ad un anno dal conseguimento del titolo, si è contratta di oltre sei punti percentuali passando dal 57,5 per cento del 2001 al 51,4 per cento del 2008. Il tasso di disoccupazione nell'ultimo anno è poi aumentato di tre punti percentuali. Ed è immaginabile che nel prossimo anno i valori saranno ancora più critici. Ci sentiamo poi ripetere che la condizione "precaria" soprattutto per i laureati, per i giovani, è una condizione temporanea e di passaggio. Ma così non è più così poiché più di un quarto (il 26,8 per cento) di quelli che lavorano da cinque anni si ritrova in mano solo un contratto atipico, e, se è vero che nel tempo si riduce tale quota (a un anno dal conseguimento è quasi il doppio), è però innegabile che la proporzione di quelli che rimangono intrappolati tra contratti di collaborazione e rapporti a tempo sembra essere al di sopra di quanto sopportabile da una società che vuole crescere e offrire occasioni ai suoi cittadini. Quanto agli stipendi, poi, negli ultimi quattro anni il guadagno mensile netto, rivalutato ai valori attuali, è sceso del sei per cento. Nel 2005 quelli che si erano laureati cinque anni prima, guadagnavano 1.428 euro in un mese, dopo tre anni si sono dovuti accontentare di 1.343 euro, con una perdita del potere d'acquisto pari al 6 per cento. Per quanto riguarda le differenze territoriali, lo stipendio netto di chi lavora al nord Italia si attesta a 1.392 euro mentre nelle regioni centrali scende a 1.314 euro e al Sud scivola addirittura a 1.118 euro. Per quanto riguarda invece i laureati del 3+2 e i "triennali", il rapporto di Almalaurea ne ha coinvolti poco più di 30 mila e, pure se sono tra coloro che mostrano le migliori performance di studio (un voto medio di 109 su 110) e molti di loro trovano impiego, si deve però constatare che solo il 28 per cento di loro ha un posto stabile mentre il 49 per cento fa i conti con un contratto atipico. Condividi