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di Isabella Rossi Le “tote” di cui si beffa Paolo Corbera, giovane palermitano laureato in giurisprudenza e redattore de “La Stampa” sono solo un passatempo senza importanza, come il tradimento e la ridicola gelosia che ha reso solidali le due giovani donne nello scaricare il comune amante. Ben altra cosa è il fascino esercitato da un caffè di via Po, “una specie di Ade” dove trovano rifugio nel tardo autunno del 1938 intellettuali di altri tempi, ognuno chiuso nel proprio invalicabile spazio. Lì spende le sue ore anche Rosario La Ciuria, un senatore che oltre ad essere il più illustre ellenista del tempo è nato ad Aci Castello. L’incontro fra i due siciliani è un cordiale scontro fra civiltà antagoniste. All’assolutezza dell’ideale classico si contrappone la dissolutezza del “vivere moderno” in cui la soddisfazione immediata degli istinti ha tolto ogni sacralità e tensione al faticoso e sublime raggiungimento della perfezione. Ma tale ricerca, per l’ellenista, non è mai stato uno sterile e artificioso gioco della mente, bensì un’esperienza estetica che supera con “voluttà spirituale” ogni facile sensualità facendosi a sua volta carne e sangue. La sua personificazione è la sirena, la lighea che vive nell’eternità del tempo e la cui presenza è evocata dalla degustazione dei ricci di mare e dalle memorie dei profumi e dei colori delle terre di Sicilia risvegliate dai colloqui con il giovane redattore. Tale creatura, incontrata negli anni di studi furiosi e solitudine, sarà l’unica capace di accompagnare l’anziano professore nel suo ultimo viaggio. Luca Zingaretti ha fornito giovedì scorso vivace e appassionata lettura delle pagine del celebre racconto scritto da Tomasi di Lampedusa negli ultimi mesi di vita. Il pubblico perugino ha ricambiato con interminabili applausi e quell’ammirazione vivissima riservata solitamente ai bravi attori e agli eroi televisivi. Le musiche di Germano Mazzocchetti, eseguite da Fabio Ceccarelli, hanno completato l’atmosfera di una serata tanto speciale da indurre il popolare attore ad infrangere spontaneamente “la quarta parete” con la recitazione della Xenia II di Montale, “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”. Condividi