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di Isabella Rossi Manca meno di una settimana, solo 6 giorni all’apertura di quello che è destinato ad essere il primo centro d’accoglienza per donne vittime di violenza in Umbria. Lo hanno annunciato alla conferenza stampa tenutasi sabato scorso alla Sala della Partecipazione del Palazzo della Provincia di Perugia esponenti delle istituzioni, del mondo associazionistico e del movimento delle donne. Marina Toschi, Consigliera di Parità dell’Umbria, Marcella Bravetti, presidente del Comitato 8 marzo e Adelaide Coletti, portavoce della Rete delle donne hanno invitato a parlare della violenza alle donne una testimone molto speciale: Simonetta Pangallo, madre di Barbara Cicioni. E’ a lei, infatti, che verrà intitolato il centro. Non solo per il sentimento di solidarietà che si vuole esprimere ai genitori di Barbara ma perchè la morte della giovane madre uccisa all’ottavo mese di gravidanza è emblematica sotto molti aspetti. In Italia, nonostante la percezione dei fatti risulti spesso mediaticamente confusa, non sono gli stranieri a rappresentare una minaccia per le donne, bensì in ben il 70% dei casi (fonte Istat) il compagno, il marito o un familiare stretto. E non ci sono ronde che tengono quando la violenza scaturisce dal contesto familiare. “Non si riconosce alla violenza sulle donne la dimensione di un problema sociale per salvaguardare la famiglia. Bene la legge sullo stalking, ma i maltrattamenti in famiglia sono disciplinati ancora da una normativa del 1930” ha illustrato Teresa Manente, avvocato penalista responsabile dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna e docente nel corso di formazione che da marzo ad aprile impegnerà le volontarie che opereranno nella struttura. In Umbria il 28,6% delle donne (dai 16 ai 70 anni) ha subito nel corso della propria esistenza violenza fisica o sessuale. “E l’obbiettivo del centro”, ha ribadito Marcella Bravetti, “è proprio quello di sostenere le donne nel percorso di affrancamento dal disagio e dalle violenze per riappropriarsi della propria vita”. Ecco perché un centro antiviolenza in Umbria non è solo necessario ma doveroso. “Vogliamo essere un punto di riferimento” ha dichiarato Marina Toschi, augurandosi massima coesione tra le forze istituzionali. Adelaide Coletti ha sottolineato come la segnalazione alle istituzioni sulla necessità impellente di un centro antiviolenza sia partita da un movimento di donne. "Sono state loro a farsi carico di veicolare la diffusa percezione nella regione Umbria di questa grave carenza" ha spiegato la portavoce aggiungendo che tale risultato non sarebbe stato possibile "senza la pratica politica di donne che hanno saputo riprendere la parola in questa città". “La violenza sulle donne è una violenza di stato che penalizza la donna in quanto donna. Quello di potersi rivolgere ad un centro è un diritto”, ha dichiarato Simonetta Pangallo invitata al banco dei relatori nella sala affollata da giornalisti e televisioni, “visto che il maltrattamento in famiglia è un problema sociale. Mia figlia è stata uccisa all’ottavo mese di gravidanza, con lei anche la mia nipotina” ha raccontato commossa, poi ha aggiunto: “Barbara non era una persona debole, era una persona coraggiosa e forte. Ha pensato che sarebbe bastato il suo amore a risolvere tutto.” Il centro antiviolenza che verrà inaugurato sabato prossimo, in via Luciani 59 a Castel del Piano, sarà inizialmente destinato alla prima accoglienza delle vittime. Il finanziamento, tramite il Cesvol, è stato ottenuto grazie ad un progetto denominato: “Rete antiviolenza per Donne vittime di violenza” di cui oltre il Comitato 8 marzo come capofila fanno parte le associazioni: Ama, Controcanti, La Goccia, Medea, Dike, la Consigliera di Parità dell’Umbria, il Comune di Perugia, Asad e Borgorete. La Provincia di Perugia ha finanziato il corso di formazione per le volontarie. Inoltre la Chiesa Valdese ha accolto la richiesta, sinora al vaglio, per la destinazione al centro di fondi derivanti dall’8 per mille. Condividi