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di Isabella Rossi Design anni ’70, cucina economica e un soggiorno capiente per accogliere nove personaggi insieme al loro autore, Ezio. Alessandro Genovesi, attore milanese, porta in Umbria il suo “Happy Family”, lo spettacolo che ha sancito il suo esordio come drammaturgo e che ha ottenuto nel 2005 il Premio speciale Riccione per il Teatro. I personaggi che convivono con il loro autore, consigliandolo, criticandolo e addirittura contestandogli la trama, per poi assumere coralmente le funzioni di una coscienza, scaturiscono dai bisogni e dalle paure della sua anima inquieta. Il cane francese è un uomo tenuto per mano, e mai volgarmente al guinzaglio, le donne finiscono quasi tutte per chiamarsi Anna e l’intreccio della storia, che avviluppa il giovane scrittore fruitore di una rendita derivante da un brevetto del padre, sembra sottrarlo alla sua irrisolutezza e ad un latente senso di solitudine. Come una medicina contro l’alienazione metropolitana un incidente in bici, avvenuto dopo il “trattamento solitario” della massaggiatrice cinese, crea il presupposto per far entrare nella vita di Ezio personalità un po’ nevrotiche, a volte balorde, altre fiabesche ma indubbiamente calde e rassicuranti. Sono caratterizzate da dialoghi veloci e “fuori dai denti”, monologhi brevi e un linguaggio semplice e autentico in cui si ritrovano non solo un paio generazioni ma tutto un popolo televisivamente accomunato nel racconto della quotidianità. Una nettamente superata, quasi surclassata dall’autore in compagnia dei suoi personaggi e che si tinge a tratti di un romanticismo dai toni zuccherini. Niente di strano, dato che è quello tipico dei sogni, la cui materializzazione Ezio alla fine confessa essere solo frutto della sua fantasia. A quel punto l’autore rivela al pubblico il suo potere unico e assoluto nell’atto artistico per eccellenza: la creazione di un’opera. E’ per questo che i personaggi, d’improvviso, appaiono come marionette. Erano semplicemente sue creature. Qualcuno avrebbe mai potuto asserire il contrario? Forse no, forse sì. Ciò non toglie leggerezza e profondità ad uno spettacolo ricco di talento e belle promesse. Condividi