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Tra gli indicatori demografici resi noti ieri dall'Istat, allorché ha annunciato che l'Italia ha tagliato nell'anno 2008 il traguardo dei 60 milioni di abitanti, ce n'è uno che più di altri deve farci riflettere come umbri ed è quello relativo alla dinamica migratoria nelle diverse regioni del Paese. Per dirla secondo l'istituto di statistica si tratta di un dato che misura la capacità attrattiva delle diverse aree italiane, o meglio la maggiore o minore capacità di richiamo che esse esercitano, dovute – è sempre l'Istat a sostenerlo – dalle maggiori opportunità che offrono di lavoro e di integrazione. Ebbene, in questo caso l'Umbria guidava largamente la classifica, sempre relativa al 2008, con un saldo migratorio di 12,7 punti contro una media nazionale che è di 7,7 punti. Per renderci meglio conto della portata di questo fenomeno, basti considerare che dietro l'Umbria figura l'Emilia Romagna, con 12,1 punti, seguita nell'ordine da Lazio (10,9), Veneto (10,7), Marche (10.4) e Toscana (10,3). Tutte le altre regioni si collocano al di sotto dei 10 punti, con quelle meridionali in coda (ultima la Puglia con 2,8 punti). Fatto, questo, che trova conferma in un altro dato strettamente collegato con il primo, visto che in termini di popolazione residente al 1 gennaio di quest'anno, il tasso di incremento dell'Umbria (12,7 punti), che è assai prossima al traguardo dei 900 mila abitanti (per l'esattezza siamo a quota 896 mila) è il secondo in Italia, assieme alla Provincia di Trento, questa volta però dopo l'Emilia-Romagna (14,7). Questi dati vorranno pur dire qualcosa se, tanto per fare qualche esempio, l'attrattività esercitata dalle due regioni italiane maggiormente industrializzate, vale a dire il Piemonte (9,1) e la Lombardia (8,2) è notevolmente inferiore alla nostra? Ora, poiché, come è noto, l'Umbria non è una regione particolarmente industrializzata, va da se che questa attrazione sopra la media che riesce ad esercitare sui cittadini immigrati, più che alla possibilità di assicurare loro un lavoro si basa assai probabilmente sul secondo fattore, ovvero quello di una più agevole integrazione nel tessuto sociale regionale rispetto ad altre realtà. Torniamo, dunque, a quel concetto di maggiore vivibilità dell'Umbria sul quale ci siamo più volti soffermati: una vivibilità che non si basa esclusivamente sulla quantità e qualità innegabili dei presidi sociali che sono diffusi sul nostro territorio, ma anche su una tradizione di buon governo locale che in tutti questi anni la sinistra è riuscita ad assicurare e che ha garantito all'Umbria anche il mantenimento di un sano ambiente naturale, del suo vasto patrimonio culturale e storico e di forti rapporti di solidarietà e di reciproca assistenza che caratterizzano ancora la maggior parte delle nostre comunità. Un concetto che del resto ritroviamo nelle recenti considerazioni espresse dall'amministratore unico dell’Agenzia Regionale per la Promozione Turistica, Stefano Cimicchi, in chiusura della Borsa Internazionale del Turismo di Milano conclusasi domenica scorsa. “La nostra regione – affermava Cimicchi – è sempre più spesso percepita come una meta di lusso, non solo per l’alta qualità delle strutture ma per la natura, i nostri borghi e lo stile di vita che rappresenta davvero un lusso per milioni di persone nel mondo”. Confermando con ciò che abbiamo fra le mani un patrimonio qualitativamente assai importante che non va sprecato poiché può esserci quanto mai utile per rilanciare l'Umbria a livello nazionale ed internazionale in un momento particolarmente depresso qual è l'attuale. Condividi