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Qualunque proposta della sinistra politica che sia tesa a produrre risposte credibili ed efficaci all’attuale crisi economico-finanziaria, non può prescindere da un’analisi approfondita di come il neoliberismo l’abbia prodotta. Quest’ultimo, tramite la globalizzazione dei mercati e il pensiero unico, ha generato uno stato di crisi globale. Crisi economica, culturale, ambientale, crisi della democrazia e delle istituzioni, preludono ad una crisi degli equilibri internazionali tra stati e nazioni. Esse si intrecciano e si compenetrano rafforzandosi reciprocamente, come dimostrano i continui attacchi alla democrazia e ai diritti fondamentali dei cittadini e dei lavoratori, ultimo fra tutti il progetto antisciopero del governo Berlusconi. Per uscire da questo stato di cose bisognerà ragionare su più livelli contemporaneamente e in maniera integrata, con uno sforzo di analisi paziente e impegnativo a cui nessuno, a sinistra, può sottrarsi, sia esso soggetto individuale o collettivo. Vorremmo brevemente evidenziare alcune questioni che andrebbero, a nostro avviso, considerate all’interno di questo lavoro comune che riconosca come necessaria la costruzione, da parte della politica, di una strategia di riconnessione stretta tra impresa, territori e tessuto sociale. Abbiamo bisogno di un modello di sviluppo che superi la dipendenza cui siamo soggetti rispetto all’energia prodotta da combustibili fossili, una forma di energia che è destinata nel prossimo secolo a declinare drasticamente a causa del progressivo esaurimento delle materie prime. Oltre a rimettere in campo da sinistra il problema della gestione pubblica delle risorse energetiche, dei beni comuni e delle strategie di bonifica ambientale di suolo, acqua e aria, compresa la gravosa questione dello smaltimento dei rifiuti, dobbiamo, da subito, lanciare una incisiva azione politica per una pianificazione progettuale di intervento nel settore energetico che sia imperniata sull’utilizzo delle fonti cosiddette “pulite” e “rinnovabili” (vento, acqua, sole e biocombustibili). Esse potrebbero sostituire quelle fossili e nucleari in meno di cinquanta anni, come dimostra la pianificazione messa in atto dalla Germania che le sta introducendo con un ritmo molto elevato e una crescita di circa 3000 megawatt all’anno. È quindi strategico, oggi, difendere ogni luogo e forma di produzione di cultura, di pensiero e di ricerca a disposizione del pubblico, prime fra tutte scuola, università ed enti di ricerca. La progettazione e la realizzazione di centri delocalizzati di produzione di energia rinnovabile, collegati a rete sul territorio regionale e nazionale, gestiti autonomamente da singoli cittadini o da soggetti collettivi, possiede la valenza rivoluzionaria di creare elementi strutturali e materiali di produzione e costruzione di democrazia partecipata e collettiva, rendendo il cittadino più libero e auto-determinato. Democrazia politica e democrazia economica devono oggi trovare dei punti di connessione e dei momenti di estrinsecazione concreta, pena il precipitare della vita di milioni di cittadini verso la condizione di non cittadinanza: la schiavitù dell’era post-moderna. Le strategie, i modi per realizzare un tale obiettivo sono tutti da elaborare e sperimentare. Uno di questi potrebbe essere la stesura e l’applicazione di un Piano Etico che regoli e vincoli i rapporti economici e commerciali fra ditte e istituzioni sia a livello locale che internazionale. Alcune esperienze di questo tipo sono già in atto da diversi anni, basti pensare alla “Certificazione Etica” introdotta con la norma SA8000. Essa certifica l’impegno etico e sociale di un’impresa o di qualunque organizzazione, ponendo alcuni requisiti indispensabili e irrinunciabili quali il rispetto dei diritti umani, quello dei diritti dei lavoratori, la garanzia per la libertà di associazione, il riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva, il rispetto dell’orario di lavoro e la trasparenza sui criteri retributivi, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro. Tutto ciò andrebbe accompagnato dalla contestuale adozione di un Protocollo di riduzione del consumo di petrolio di circa il 2-3% all’anno da parte dei vari Stati e delle amministrazioni territoriali locali. Questo, al fine di realizzare la transizione energetica dall’energia fossile a quella rinnovabile, di cui abbiamo necessità nei prossimi venti-trenta anni, nella maniera la più coordinata e pacifica possibile a livello planetario. Condividi