inceneritore.jpg
di Rossano Gattucci Il termovalorizzatore è un impianto che esiste nella fantasia, ma non nella realtà; è la mistificazione pubblicitaria dell’inceneritore a recupero energetico, cioè un inceneritore che impiega il calore sviluppato dalla combustione dei rifiuti per produrre calore ed elettricità La definizione termovalorizzatore dovrebbe applicarsi ad una centrale elettrica che produce energia termica ed elettrica per cogenerazione, cioè che produce energia termica (teleriscaldamento) ed elettrica con un alto rendimento e che utilizza come combustibile i rifiuti. Un inceneritore a recupero energetico è invece un impianto il cui scopo è smaltire i rifiuti bruciandoli per ridurne i volumi. Si evoca il recupero energetico perché le normative UE prevedono che per la costruzione degli inceneritori siano applicate le migliori tecnologie possibili (Best Available Technology), quindi un nuovo inceneritore deve essere dotato di un circuito di recupero dell’energia persa nella combustione dei rifiuti. Questo recupero energetico si traduce in produzione di energia elettrica e termica, ma non si può parlare di cogenerazione perché gli inceneritori hanno rendimenti bassissimi, praticamente sempre inferiori al 20%, molto meno delle vecchie centrali elettriche (33-35%) e nemmeno paragonabili al rendimento di una nuova centrale elettrica (60-65%). Uno dei presupposti per parlare di cogenerazione, invece, è proprio l’alto rendimento energetico che caratterizza l’efficienza degli impianti. Soltanto questi pochi elementi fanno capire che il termovalorizzatore non valorizza nulla perché è peggio di una vecchia centrale elettrica. Inoltre, anche se si tratta di un inceneritore a recupero energetico, non può essere classificato come impianto di recupero, ma come impianto di smaltimento: la Corte di Giustizia Europea, con la sentenze C-228/00 e C-458/00 del febbraio 2003 ha stabilito questa definizione in quanto la frazione di energia recuperata è molto inferiore a quella persa durante la combustione dei rifiuti (circa 5-6 volte). Quindi è un tipo di impianto da prendere in considerazione soltanto dopo che sono state avviate strategie di prevenzione, riduzione, riutilizzo e riciclaggio. Infatti, solo dopo aver identificato la quantità di rifiuti non recuperabile si può dimensionare un impianto di smaltimento per il residuo. Un impianto simile diventa “economicamente” conveniente soltanto se la raccolta differenziata non supera il 40% e se brucia quantità rilevanti di rifiuti; ma queste condizioni non sono compatibili con una gestione dei rifiuti integrata secondo le norme europee e risultano di ostacolo alla raccolta differenziata e alla riduzione dei rifiuti. I dati dimostrano che dove sorge un inceneritore o dove se ne ventila la realizzazione la raccolta differenziata si stabilizza intorno al 30% ed evidenziano che l’energia risparmiata con il riciclo è nettamente superiore a quella recuperata da un inceneritore. Inoltre sarebbe da tenere presente che il termine termovalorizzatore non esiste in nessuna lingua e in nessuna normativa italiana ed europea, ma viene usato soltanto dai promotori di tali impianti; normalmente si usa il termine inceneritore a recupero energetico o impianto di incenerimento, definito dalla Direttiva 2000/76/CE come l’insieme delle strutture che fanno parte di un’area che ha lo scopo ultimo di smaltire i rifiuti per incenerimento (art. 3, comma 4). In conclusione un inceneritore non è un impianto di recupero energetico perché ha un bassissimo rendimento; non è ecologico e sicuro perché continua ad inquinare nonostante i filtri e i controlli sulle emissioni; non è rispettoso delle normative europee perché ostacola la raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti, non è conveniente economicamente perché fa crollare il valore degli immobili nelle vicinanze e aumenta il costo dello smaltimento dei rifiuti e dell’energia elettrica prodotta. Per finire, il termovalorizzatore, come lo descrivono e promuovono è pura fantasia! Condividi