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Il 6 ed il 7 giugno assieme alle amministrative si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Il Parlamento italiano entro breve approverà la norma, voluta da Veltroni e, dietro firma di pesanti cambiali, concessa da Berlusconi, che introduce uno sbarramento del 4% di voti per poter accedere al Parlamento di Strasburgo. La Sinistra tutta, maniera convinta ed unitaria (che strano sapore ha questo aggettivo) è insorta contro questa norma dichiaratamente indirizzata, stante gli ultimi risultati elettorali, ad escludere la possibilità di una rappresentanza parlamentare della sinistra a livello europeo. Le varie formazioni della sinistra sono giunte a minacciare (per il momento solo minacce) il ritiro del loro appoggio a tutte le giunte locali con il Partito Democratico e a non chiudere gli accordi sui candidati sindaci proposti dal PD per le prossime amministrative. Fiaccolate e presidi di protesta si sono tenuti davanti alla Camera dei Deputati. Tutto giusto e sacrosanto, soprattutto se si pensa che nel Parlamento europeo da un lato non esistono problemi di stabilità di maggioranze e/o governabilità e soprattutto che gli eletti dei vari paesi confluiscono comunque tutti in otto grandi gruppi parlamentari. Ma….. una Sinistra, una Sinistra italiana che non arriva nemmeno al 4 per cento o che teme di non giungere al 4 per cento, che Sinistra è? Che messaggio di fiducia trasmette ai propri elettori dichiarando in partenza di temere di non superare il 4%, ovvero che in Italia non ci siamo un milione e trecentomila cittadini disposti a dare fiducia e votare per la Sinistra. Il problema è che forse questo milione e trecentomila elettori ci sono (molto probabilmente sono anche di più) ma vanno divisi per due, anzi per tre, forse per quattro e, non è improbabile, per cinque. Allora, stante questo quadro, la battaglia contro il 4% viene letta dall’elettore di sinistra non come una sacrosanta battaglia per la democrazia ma, molto più prosaicamente, come lotta per la sopravvivenza di gruppi dirigenti di piccole formazioni politiche che rischiano di scomparire. E questo non piace all’elettore di Sinistra ed il milione e trecentomila diminuisce, molti preferiscono stare a casa. Allora che fare per limitare il danno e farsi meno male possibile. Qualcuno ha proposto, viste le non certo esaltanti condizioni in cui versa la Sinistra, di saltare un giro, ma, bene ha risposto sul Manifesto la Rossanda, le elezioni non sono come una festa da ballo dove tra un valzer ed una polka ci si può prendere un attimo di respiro. Elezioni e politica non funzionano così. Quindi è necessario partecipare, ma come. Divisi? Ciascuno con un progetto politico in costruzione (e di cui ancora non si conoscono gli esiti), in taluni casi appena abbozzato, perché questa è la situazione della Sinistra dopo la sconfitta dell’aprile scorso. O non sarebbe meglio affrontare di petto la situazione dicendo parole di verità ai tanti che ancora si riconoscono negli ideali della Sinistra, mettendo in grado questi tanti di poter votare, ciascuno in base alla propria sensibilità, ma, al tempo stesso, non pregiudicando con cristallizzazioni affrettate quel processo necessario ma ben più ambizioso di ricostruzione della Sinistra, che tutti riteniamo indispensabile? In questo senso assolutamente ragionevole mi sembra la proposta da tempo avanzata ed ultimamente precisata con un intervento sul Manifesto da Fausto Bertinotti, di presentare alle Europee un cartello elettorale delle Sinistre: un cartello che raccolga tutti, ma proprio tutti, e si presenti come tale, come semplice cartello elettorale, non come è stato il vecchio Arcobaleno, anticamera di chissà quale progetto di nuovo partito unico della Sinistra: un cartello per la sopravvivenza. Meglio ancora sarebbe se questo cartello accogliesse nelle proprie liste e valorizzasse esperienze di lotte e movimenti che in questi anni hanno attraversato il paese. Ha ancora ragione Bertinotti nell’affermare che un simile cartello potrebbe presentarsi in Europa con un dignitoso profilo programmatico. Le questioni in questa fase di crisi non mancano, dalla salvaguardia dell’occupazione e la lotta alla precarizzazione, a quelli dell’intervento pubblico in economia da indirizzarsi per una riforma sociale ed ecocompatibile, per finire con le questioni legate ai diritti ed al loro allargamento. Si avrà il coraggio di compiere questa scelta, è possibile che dall’Umbria, che in passato è riuscita a costruire significative esperienze unitarie a sinistra, venga una indicazione di questo tipo? Condividi