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In quel capolavoro di letteratura socialmente impegnata (e che letteratura!) che è il romanzo “I Miserabili” di Victor Hugo, un’opera unica nel suo genere che raccomando vivamente a tutti di leggere o rileggere, ricorre spesso la parola “indignazione”. “I Miserabili” si sa è un romanzo popolare, e il popolo, al quale è formalmente dedicato, non a caso l’autore ci introduce alla vicenda con queste parole : “finchè al mondo ci saranno ingiustizia e sfruttamento, libri come questo non saranno inutili”, il popolo dicevamo, si “indigna”. Se i borghesi “vanno in collera”, i proletari si “indignano”, perché indignazione vuol dire: “vivo risentimento che si prova per ciò che si ritiene indegno, riprovevole, ingiusto.” (dizionario della lingua italiana Gabrielli 2008). L’indignazione popolare è stata alla base della Rivoluzione Francese e anche di quella russa, per citare gli esempi più eclatanti, l’ingiustizia, una delle molle dell’indignazione in entrambe i casi aveva raggiunto livelli intollerabili, Victor Hugo ci parla di questo, dipanando il suo romanzo all’epoca di Carlo X, il re francese posto sul trono dalla restaurazione seguita alla caduta dell’impero napoleonico. L’indignazione del popolo francese, per quel regime corrotto e autoritario, sfocerà in un moto rivoluzionario che nella sua prima fase verrà represso nel sangue ( in questo periodo si svolge la vicenda de “I Miserabili”), e soltanto un decennio più tardi porterà infine alla caduta della monarchia e al ritorno della Repubblica. Certamente la parola “indignazione” non è stata scoperta da Hugo, ma l’autore di uno dei più famosi romanzi della storia della letteratura universale, un autore che amava documentarsi di persona, sicuramente la riscoprì seguendo da vicino, come egli stesso ci narra, quegli eventi sui quali si basa la vicenda de “I Miserabili”, quelle folle “indignate” per la condizione miserabile (appunto) alla quale erano costrette. Hugo ci dice che il costo di una salva di cannoni per l’arrivo del re in una qualsiasi occasione ufficiale, avrebbe potuto sfamare numerose famiglie proletarie che invece morivano di fame. Da lì nasceva l’indignazione e da lì comincia il romanzo di Victor Hugo, un vero e proprio inno all’indignazione. Dunque l’indignazione come sentimento popolare profondo, da respingere o da condividere, perché nei confronti dell’indignazione non esiste mediazione che non sia quella di tagliare alla radice la ragione scatenante del “sentimento”, perché l’indignazione ha acquisito nel tempo e nella storia la dignità di profondo sentimento popolare. Nel corso del tempo, nelle temperie della storia moderna, fino ai nostri giorni, quel sentimento è ricorso più e più volte, il novecento per ciò che riguarda la vicenda della nascente “classe operaia”, è il secolo dell’indignazione, anche nella sua fase più matura, quando ci si indigna contro il fascismo, la “legge truffa”, le discriminazioni a sinistra, il governo Tambroni, ma anche per i soprusi staliniani. E oggi, nel nuovo millennio? Oggi sembra che indignarsi sia fuori moda e indignazione una parola quasi arcaica, ormai confinata nella soffitta dei miti e delle vicende trascorsi. C’erano a quei tempi, scrittori, intellettuali, giornalisti, ma anche preti ( Don Bosco, Don Milani, per citare i più famosi) che si” indignavano” per l’ingiustizia diffusa, uomini che nei rispettivi ruoli sociali affermavano “indignandosi” che era ora di finirla con la fame, la miseria, lo sfruttamento, il lavoro pericoloso e umiliante, la ricchezza ostentata e sfrenata, il monopolio del potere. Iniziative sociali, libri e articoli di fuoco, all’insegna dell’indignazione, che sono rimasti luminosi punti di riferimento nella storia dell’emancipazione sociale delle classi subalterne. Nonostante tutto ciò, come abbiamo già sottolineato, l’indignazione è però ormai fuori moda, probabilmente non è neanche più riconosciuta come “sentimento”, anche a causa di conquiste sociali che nate dall’indignazione, hanno finito per neutralizzarla con la rimozione delle numerose cause “scatenanti”. Ma come per alcuni virus che nel corso dei secoli hanno tormentato l’umanità con i loro nefasti effetti, poi debellati dal progresso scientifico e sociale e infine riapparsi sotto nuove vesti ma di immutata pericolosità, così molte cause scatenanti quel sentimento di indignazione che era stato alla base della loro rimozione, sono riapparse seppure in forme nuove, ma con gli stessi effetti. Occorre perciò riappropriarsi del sentimento dell’indignazione, quella formidabile molla sociale, che deve gridare basta all’attuale condizione di gran parte del mondo del lavoro: sottopagato, precarizzato, impoverito e soprattutto reso ancora una volta pericoloso, mortale. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è dovuto intervenire con tutta la passione politica di cui è capace per promuovere una “campagna di indignazione” contro le morti sul lavoro che scandiscono ormai ossessivamente, tragicamente i nostri giorni. Fino al suo intervento l’indignazione non c’era, era solo a Torino fra i colleghi e i familiari dei sette operai bruciati vivi alla Thyssen Krupp, poi il presidente ha parlato di “indignazione” e tutti abbiamo scoperto che sì, di fronte a quella atroce tragedia, non bastavano più le cronache o le dotte disquisizioni in politichese/sindacalese che ci affliggono da anni, ma bisognava riscoprire l’indignazione e il suo essere sentimento grande e condiviso, movimento capace di mettere in marcia uomini e donne per tagliare alla radice le cause dell’ingiustizia. Altri due lavoratori sono morti ieri a Marghera, la mattanza non si arresta, come il ritorno dei virus, è ritornata la faccia più feroce dell’ingiustizia, che si credeva debellata per sempre, si chiami globalizzazione o meno, è sempre lei, la vecchia ingiustizia sociale che ritorna. Indignarsi è allora necessario, è un dovere per tutti coloro che credono in un mondo giusto. Il premio Nobel Noam Chomsky ci dice : “ L’unico valore umano attualmente riconosciuto è il profitto, e chi non contribuisce alla produzione di profitto è superfluo” ; domanda : è o non è una buona ragione per indignarsi? Condividi